«Ha deciso di punirla e l'ha svilita fino all'ultimo»
«Dopo il tradimento l’imputato ha deciso che doveva vendicarsi e punire la moglie. Ha messo così in atto sistematiche violenze fisiche, verbali e psicologiche fatte di percosse, umiliazioni, abusi sessuali e limitazioni della libertà personale che sono diventate per un mese parte della routine della vittima. Lo scopo era spaventarla, manipolarla e indurla a fare tutto ciò che lui voleva. Lui decideva, lei eseguiva, anche nella sfera intima». Oggi è stato il turno della pubblica accusa e di una parte della difesa nell’ambito del procedimento, apertosi ieri davanti alla Corte delle assise criminali, a carico di un 52.enne domiciliato nel Luganese accusato di aver stuprato e picchiato la moglie. Avrebbe, cioè, costretto la donna a fare sesso con lui oltre una quindicina di volte. L’avrebbe, tra le altre cose, anche ripetutamente picchiata, spinta contro specchi e tavoli, tirata per i capelli, trascinata a terra, stretto le mani attorno al collo e appoggiato la canna di una pistola contro la fronte per spaventarla. Lui, di contro, durante l’interrogatorio ha continuato a sostenere di averle dato «solo due colpi con il manganello: uno sul braccio e uno sulla testa. Poi, due o tre schiaffi». E per il suo legale, l’avvocato David Simoni, questa storia è caratterizzata dalla «spregiudicatezza della vittima nel mentire».
«Credibile lei, incoerente lui»
L’impianto accusatorio è stato costruito attorno alla credibilità della vittima e alla personalità dell’imputato, che «nega quasi tutti i fatti nonostante il processo a suo carico sia fortemente indiziario». «Ha un’attitudine che si concilia con il resto del mondo solo se il resto del mondo non lo contraddice. È un uomo che detta le regole anche in ambito sessuale e il tradimento della moglie, visto che non era stato lui a deciderlo, è stato un fulmine a ciel sereno. Incapace di gestire il dolore del tradimento, ha tradotto quel dolore in atti di pura crudeltà per salvaguardare la sua virilità», ha detto la procuratrice pubblica, Margherita Lanzillo, durante la requisitoria. La credibilità della donna, a mente della pp, è data per svariati motivi. E un elemento «fortemente indiziario» è il fatto che «la vittima non ha volutamente denunciato l'agire del marito, non è stata cioè lei a recarsi in polizia: è stato l’ospedale ad avvisare le autorità, così come la struttura protetta in cui è stata collocata. L’imputato ha detto che se avesse usato tutta questa violenza, la moglie sarebbe distrutta. La Corte, però, ha visto bene le fotografie agli atti che testimoniano le percosse». Le azioni «gravissime» messe in atto dal 52.enne nei confronti della vittima hanno portato la procuratrice pubblica a chiedere una pena detentiva di 8 anni e 11 mesi, a cui va affiancato un trattamento ambulatoriale già iniziato dall’imputato in sede di espiazione anticipata della pena.
La patrocinatrice dell'accusatrice privata, l’avvocata Benedetta Noli, si è associata alle tesi della pubblica accusa, rimarcando da una parte l’incoerenza e la discordanza delle versioni rilasciate dell’imputato e dall’altra sottolineando il «numero considerevole di violenze inaudite che la vittima ha dovuto subire in un brevissimo lasso di tempo». Un punto fermo per l’avvocata è stata «l’esposizione genuina e non forzata della vittima, accompagnata da una profonda commozione e sgomento. La donna ha avuto paura di chiedere aiuto, fino a quando non ha trovato sostegno nel figlio di lui e nella rete di protezione alle vittime di violenza».
«I racconti non tornano»
L’avvocato del 52.enne ha di contro tentato di smontare la credibilità della vittima ripercorrendo, esempio per esempio, tutti i comportamenti e le dichiarazioni rilasciate dalla donna. «I racconti della vittima non tornano fin dall’inizio: sarà un senso di rivalsa o di vendetta. Il fil rouge è che con il proseguire degli interrogatori, la donna ha iniziato ad aggiungere nuovi episodi di violenza e abusi sessuali oppure aggravare quelli già detti». Per Simoni, comunque, il suo assistito deve essere prosciolto dalle imputazioni principali di violenza carnale e coazione sessuale perché «la vittima non è stata precisa nel raccontare gli episodi delle violenze sessuali e non si è impegnata a fondo in questo lavoro fattuale». Domani la richiesta di pena della difesa.