Processo

«Hanno fatto il possibile per salvare il salvabile»

È il turno delle difese al processo per il crac da 25 milioni dell'Airlight di Biasca - Per i legali i cinque ex dirigenti non hanno colpe e vanno quindi prosciolti
L'avvocato Mario Postizzi. © CdT/Chiara Zocchetti
Alan Del Don
22.03.2023 16:14

Ci sono stati sia il sogno sia la rovinosa e repentina caduta nella breve esistenza della Airlight Energy Manufacturing di Biasca. Un tonfo da 25 milioni di franchi del quale, per l’accusa, sono responsabili i cinque ex dirigenti a processo da ieri di fronte alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Siro Quadri. Devono rispondere, a vario titolo, di amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell’attivo in danno dei creditori, favori concessi ai creditori e cattiva gestione.

Il procuratore pubblico Daniele Galliano, abbiamo riferito stamattina, ha chiesto pene sospese comprese fra 180 aliquote e 3 anni (di cui 6 mesi da espiare). Di tutt’altro avviso le difese, secondo le quali i vertici della società attiva nel campo delle energie rinnovabili non hanno colpe. Anzi, hanno investito nell’azienda non certo per perdere soldi, ma perché ci credevano. La sentenza verrà pronunciata nelle prossime settimane.

Tentate tutte le strade

Eccoci ai difensori. Finora hanno preso la parola gli avvocati Stelio Pesciallo (patrocinatore dell'ex amministratore unico) e Mario Postizzi, il quale rappresenta un membro del Consiglio di amministrazione (esentato dal presentarsi in aula in virtù dell'età avanzata). I legali hanno sottolineato che la ricerca di partner industriali per commercializzare i brevetti testimonia che i vertici credevano nel futuro del gruppo. A tal punto che, con la convenzione siglata fra le parti nel dicembre 2015, si scelse di concentrarsi esclusivamente sullo sviluppo dell’impianto in Marocco risparmiando nel contempo sulla gestione societaria (in primis riducendo il personale). Il piano di risanamento avrebbe dovuto garantire la continuità dell’attività iniziata nel 2008.

Il Marocco e la diligenza

Sfortunatamente l’agognata certificazione della tecnologia sviluppata (un sofisticato collettore posato ad Ait Baha, in Marocco) non è stata ottenuta. Parimenti sono mancate le entrate. Ed il castello è crollato: «Ma non ci sono stati né negligenza né un danno. Con diligenza hanno fatto il possibile per salvare il salvabile, applicando correttamente il diritto societario. Hanno cercato di valorizzare l’unico asset di cui disponevano, vale a dire il progetto avanguardistico». I legali hanno auspicato l’assoluzione dei loro clienti, facendo leva pure sulla perizia di parte del professore ticinese Henry Peter che, affermano, sconfessa quella giudiziaria. Così faranno gli altri tre avvocati (Emanuele Verda, Pierluigi Pasi e Paolo Bernasconi) che prenderanno la parola nelle prossime ore.

Le richieste di pena

Le richieste di pena (sospese) formulate dal magistrato inquirente, ricordiamo, sono le seguenti: 180 aliquote per l’ex presidente del CdA; 14 mesi per il direttore; 24 mesi per i due membri del CdA; e, infine, 3 anni (di cui 6 mesi da espiare) per l’amministratore unico, la cui colpa, secondo l’accusa, è la più grave, essendo stato uno dei sei investitori dell’impresa.

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