«Siamo falliti poco prima di firmare i contratti»
(Aggiornato)
Poco più di un mese fa si erano presentati in due. Oggi sono in quattro. E quindi il dibattimento può essere celebrato. Di fronte alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Siro Quadri si è (ri)aperto stamattina il processo a carico degli ex dirigenti dell’Airlight Energy Manufacturing SA di Biasca, la società creata nel 2008 che operava nel campo delle energie rinnovabili ma che dopo soli otto anni è fallita sotto una montagna di debiti. Ben 25,2 milioni di franchi. Gli imputati devono rispondere - a vario titolo - di amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell’attivo in danno dei creditori, favori concessi ai creditori e cattiva gestione. Si dichiarano innocenti, ma in caso di condanna rischiano una pena fino a 5 anni. Per il procuratore pubblico Daniele Galliano (il quale ha ereditato il difficile incarto dalla già collega Fiorenza Bergomi) non ci sono dubbi: sono colpevoli.
Chi c’è e chi no
Il 13 febbraio scorso il dibattimento era stato aperto e subito aggiornato in quanto, come detto, in aula erano comparsi esclusivamente l’amministratore unico ed un membro del Consiglio di amministrazione della holding (che deteneva l’azienda biaschese e sopperiva ai suoi bisogni, considerando che la ditta non aveva ricavi) difesi, rispettivamente, dagli avvocati Stelio Pesciallo ed Emanuele Verda. A loro si sono adesso aggiunti il direttore della SA (patrocinato dal legale Pierluigi Pasi) e un membro del CdA della holding, rappresentato dall’avvocato Paolo Bernasconi. È stato per contro esentato dal comparire in aula - in virtù dell’età avanzata - un altro membro della «casa madre», difeso dal legale Mario Postizzi.
La mente e i capitali
«Il progetto è partito nel 2007 con l’idea di sviluppare un nuovo sistema di solare-termodinamico che, differentemente dal fotovoltaico, consisteva nel concentrare la luce con degli specchi ottenendo così temperature molto elevate. A livello tecnologico la mente ero io, ma non mi occupavo della ricerca dei capitali. Essendo una start-up l'Airlight aveva sempre bisogno di fondi fino a quando si arrivava alle vendite. Non avevamo entrate. La società è praticamente fallita poco prima di stipulare dei contratti importanti», ha puntualizzato l'ex direttore. Una ricostruzione condivisa dagli altri imputati. «Nel maggio 2015 ci fu un ulteriore aumento di capitale. Avremmo voluto raccogliere 6 milioni di franchi. Ci siamo fermati a 2. A quel punto è stato deciso di sottoscrivere un accordo di garanzia fra i soci valido un anno. Se non avessimo trovato quell’intesa avrei depositato i bilanci. La società dunque poteva continuare per raggiungere gli obiettivi minimi. Nessuno immaginava che sarebbe finita con il fallimento», ha affermato l’ex presidente della holding, al timone fino al settembre 2015.
Maledetta nebbia
Gli ha fatto eco l'ex amministratore unico della SA biaschese, il quale a fine 2015 era altresì stato nominato alla testa della holding: «Quando sono subentrato ho azzerato i costi e sono stato attento a non generare ulteriori perdite. Da quel momento tutta la nostra attenzione è stata focalizzata sullo sviluppo del brevetto. L’obiettivo era giungere alla certificazione del progetto nei primi mesi del 2016». Nell’agosto dello stesso anno, tuttavia, l’azienda è stata costretta a depositare i bilanci: «Con molto dispiacere. Eravamo arrivati, mancava davvero pochissimo». I vertici dell’Airlight le hanno veramente tentate tutte per evitare il crac. A tal punto che nell’estate 2015 si affidarono ad un manager italiano dalla grande esperienza, poi entrato a far parte del CdA e pure lui alla sbarra. Il suo compito era quello di risanare la società: «Le referenze del gruppo erano ottime. Il mercato mondiale richiedeva la tecnologia che gli ingegneri avevano messo a punto. La certificazione (da parte di una società specializzata con sede a Ginevra; n.d.r.) ci è sfuggita per pochissimo: quel giorno, infatti, c’era nebbia. Senza sole l’impianto non dava ovviamente i risultati sperati. Eravamo ad un centimetro...».
Dibattimento complicato
Il processo si annuncia complicato - gli eventuali reati finanziari, d’altronde, sono ostici per natura: verranno anche sviscerate delle perizie, quella giudiziaria e quella delle difese - e lungo (dovrebbe durare almeno tre giorni). Ci credevano nell’Airlight, gli imprenditori, che secondo loro avrebbe addirittura potuto primeggiare a livello internazionale. Avevano talmente fiducia nel progetto da metterci soldi di tasca propria per far decollare gli affari. Ciò a dimostrazione - questa la tesi degli imputati - che la ditta era finanziariamente solida. In un decennio la SA aveva investito almeno 120-140 milioni di franchi in attività di ricerca e di sviluppo per cercare di essere vincente non soltanto sul mercato nazionale, ma anche nel resto dell’Europa e in Marocco, in primis.
Tutto sembrava procedere bene. Non avevano però considerato i problemi legati alla commercializzazione dei progetti all’avanguardia che hanno messo in ginocchio la società. Tre imputati che facevano parte del Consiglio di amministrazione devono rispondere di cattiva gestione, frutto di «spese sproporzionate e grave negligenza nell’esercizio della loro professione o nell’amministrazione dei beni», si legge nell’atto d’accusa. Una situazione che ha portato all’eccessivo indebitamento e all’insolvenza.
Il punto di non ritorno
Secondo il procuratore pubblico Daniele Galliano il punto di non ritorno è arrivato a fine dicembre 2015. La holding che deteneva l’Airlight, sostiene il magistrato inquirente carte alla mano, era già sovraindebitata (perdite per 10,2 milioni). Avrebbe dovuto essere il campanello d’allarme, fungere da monito. Bisognava fermarsi, insomma. Invece l’attività è proseguita. Fino al fallimento decretato nell’agosto 2016.