«Ho sparato, ma non volevo uccidere»
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«Ho sparato, sì, ma non avevo intenzione di uccidere». Si è aperto con un importante sviluppo il processo di Appello a carico del 52.enne che la mattina del 7 agosto 2022 ad Agno esplose due colpi con un fucile di piccolo calibro contro il figlio. Lo scorso anno, alle Assise criminali, l’imputato era stato condannato a 9 anni di carcere per tentato omicidio intenzionale per dolo diretto. L’uomo aveva impugnato il verdetto, e in particolare l’accusa di tentato omicidio, in quanto aveva sempre sostenuto che i colpi fossero partiti per sbaglio. Ebbene, durante le prime battute del dibattimento davanti alla Corte di appello e revisione penale presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will (a latere Rosa Item e Attilio Rampini) – svoltosi negli spazi del Tribunale penale federale di Bellinzona alla presenza degli assessori giurati –, il suo difensore, l’avvocato Letizia Vezzoni, ha confermato che il suo assistito non contesta più questa imputazione, bensì solo la forma: non dolo diretto (l’imputato, quando ha premuto il grilletto, voleva uccidere), bensì eventuale (sparando, si è assunto il rischio di poter far del male a qualcuno).
Il processo si è dunque concentrato sulla commisurazione della pena. L’8 febbraio dello scorso anno, la Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani aveva accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Moreno Capella di riconoscere l’imputato colpevole di tentato omicidio intenzionale per dolo diretto, anche se la pena inflitta – 9 anni – era sensibilmente più elevata dei 7 anni e mezzo proposti dalla pubblica accusa. La difesa si era invece battuta per una condanna a 5 anni di carcere per esposizione al pericolo della vita altrui o, in subordine, tentato omicidio per dolo eventuale.
Il furto ai danni della nonna
Ma che cosa ha spinto il genitore a premere il grilletto? Lo scorso anno, la Corte delle Assise criminali aveva concordato con la ricostruzione dell’avvocato Vezzoni, ossia che quel giorno l’uomo era uscito di casa in uno stato di «prostrazione e sfinimento» per il furto commesso dal ragazzo ai danni della nonna. Inoltre, a giocare un ruolo determinante è stato anche il difficile contesto famigliare, contraddistinto dalla tossicodipendenza e da un ragazzo ribelle, spesso assente da casa e in contrasto con i genitori. Tuttavia, aveva ritenuto che quando il colpo partì, l’intenzione era quella di uccidere il ragazzo, il quale poco prima degli spari gli aveva detto che «i soldi non ci sono più». Il furto è stato infatti la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non tanto per l’entità del maltolto – almeno 50 mila franchi, i risparmi di una vita – bensì per il fatto che l’illecito fosse stato commesso ai danni della parente. «Ero certo che mio figlio c’entrasse qualcosa. Avrei voluto un intervento della Polizia per recuperare i soldi di mia mamma», ha dichiarato l’imputato durante l’interrogatorio condotto dalla giudice Roggero-Will.
Quella mattina del 7 agosto l’imputato si era messo alla ricerca del figlio, portando con sé il fucile (che aveva accorciato qualche mese prima segando canna e calcio), dopo averlo caricato. «Volevo affrontare i responsabili del furto e recuperare il maltolto. Temevo che mio figlio non fosse da solo e l’arma avrebbe funto da deterrente». Pensava di dover sparare?, gli ha chiesto Roggero Will. «Non pensavo che avrei sparato contro una persona, al massimo in aria», ha risposto il 52.enne.
L’uomo aveva infine rintracciato il giovane ad Agno. «Ci strattoniamo reciprocamente, io volevo trattenerlo. Lui mi dice che i soldi non ci sono più. Appena si è allontanato ho premuto il grilletto e ho esploso due colpi, ma non avevo l’intenzione di fargli del male». Una versione, come detto, diversa a quella resa in primo grado: «Ho esploso quei colpi per l’intenzione iniziale, che era quella della deterrenza. Volevo fargli capire che non scherzavo».
Dolo diretto o eventuale?
Per l’accusa, quel giorno è andato in scena un tentato omicidio per dolo diretto: «Al momento degli spari la distanza tra loro era di quattro metri. I colpi sono stati esplosi intenzionalmente, in conseguenza dell’insubordinazione del figlio nei confronti del padre. Il comportamento dell’imputato dopo lo sparo (allontanarsi e nascondere zaino e fucile) dimostra un eccellente autocontrollo. Non ha mostrato altri comportamenti aggressivi o fuori dagli schemi, nemmeno una volta tornato a casa. È un atteggiamento che diverge da quello disorganizzato, disperato e disfunzionale che ci si aspetta da qualcuno che ha ottenuto un risultato non voluto», ha argomentato Capella prima di chiedere la conferma della condanna comminata in primo grado.
Dal canto suo, la legale dell’imputato ha chiesto una condanna non superiore ai sei anni e mezzo per tentato omicidio per dolo eventuale. In attesa della sentenza, che verrà comunicata alle parti nei prossimi giorni, in tutta questa vicenda c’è comunque una nota lieta: padre e figlio stanno con il tempo riallacciando i rapporti. «Affinché il tempo possa però guarire le ferite occorre metterci del proprio; bisogna dare i conti con la propria coscienza. È il mio cliente ne è un esempio. Non imputa più i colpi partiti come il frutto di un errore», ha detto Vezzoni. «La decisione di sparare è stata spontanea e improvvisa, presa dopo aver capito che il figlio si sarebbe allontanato. Avesse voluto ucciderlo, gli avrebbe potuto sparare ancora. Invece ha subito gettato a terra l’arma».