Il boato, e crollò il mondo

ARBEDO - Alle 15.25 del 2 ottobre 1928 il Ticino si fermò. Un boato senza precedenti scosse l'abitato di Arbedo. La paura si impossessò degli occhi degli abitanti, immobilizzati e con le orecchie protese per sentire quello che stava succedendo a 1.700 metri di altitudine. Dal Motto d'Arbino si staccò una frana senza precedenti: circa 900.000 metri cubi di materiale furono il risultato, drammatico, dello sgretolamento del dirupo del Sasso Marcio. Un evento che ha cambiato per sempre il paesaggio ticinese e che ha dato origine al laghetto d'Orbello, in quanto le rocce avevano ostruito la valle impedendo pertanto al riale Traversagna di scorrere normalmente nel suo letto. Si formò una diga alta 100 metri che per fortuna resistette alla pressione del corso d'acqua. Ma c'è dell'altro: la zona attorno allo scoscendimento nel 2015 è diventata, su volontà del locale Patriziato, una riserva forestale di 344 ettari.
Sono passati 90 anni da quella calamità che non fece vittime, ma che portò in dote, come visto, un gioiello naturale che il resto della Svizzera e del mondo ci invidiano. Il Motto d'Arbino è un sorvegliato speciale (al pari di altri 14 dissesti in Ticino) da parte dei preposti uffici cantonali proprio in virtù del suo burrascoso passato. Movimenti ce ne sono sempre stati, tuttavia non destano e non devono destare preoccupazione per la popolazione di Arbedo. Ai piedi della montagna quasi vent'anni fa è stata costruita una camera di contenimento in grado di trattenere fino a 30.000 metri cubi di detriti. I cittadini possono oggi dormire sonni tranquilli. Ciò che probabilmente non fecero allora. La cima iniziò ad agitarsi la notte. Poi, verso le 8.45, il Sasso Marcio cominciò lentamente a piegarsi in due. Come un panetto di burro tagliato a metà. Il peggio doveva ancora venire. E puntualmente arrivò, come detto, poco prima delle 15.30. «Con immenso fragore, udito a parecchi chilometri di distanza, tutto il versante fra val Taglio e val Pium si sfasciava e precipitava a valle in una immane lavina di blocchi, di alberi, di cascine, avvolti in una densa nube di polvere», si legge sfogliando gli archivi della Società ticinese di scienze naturali (STSN).
Dove troviamo anche il racconto di un testimone oculare. Si tratta di un uomo che si trovava sul tetto della sua abitazione per ripararlo: «Una visione spaventevole si parò ai nostri occhi. Vedemmo il Sasso Marcio, monte boscoso in parte, muoversi dalla cima alla base, sgretolarsi, sfasciarsi e cadere con grande fragore. Vedemmo i dossi laterali del monte stesso scendere, sdrucciolare a grandi strati, con alberi isolati e anche zone di bosco intere, per poi scomporsi in basso, e mescolarsi col terriccio e coi macigni. Uno strano rombo e scricchiolio di alberi e radici che si spaccavano, accompagnava il terrificante spettacolo». I danni furono ingenti: numerosi rustici vennero spazzati via dalla furia della natura.