Il carbone «ticinese» torna in Gran Consiglio
A quattordici anni dalla tanto discussa votazione popolare, in Ticino si torna a parlare della partecipazione dell’Azienda elettrica ticinese (AET) nel centrale a carbone di Lünen, in Germania. Sì, perché fra un paio di settimane il tema tornerà sui banchi del Gran Consiglio, che discuterà una mozione targata MPS (depositata nel 2020) che mirava a un’uscita da questo investimento entro il 31 dicembre del 2021.
Ora, malgrado la richiesta sia stata superata dai tempi, essa verrà comunque trattata in Parlamento da due punti di vista differenti. Da una parte la maggioranza (composta da PLR, Centro, Lega e UDC) difenderà la posizione del Governo, proponendo l’abbandono della partecipazione entro il 2035 (ossia come votò il popolo nel 2011). Dall’altra Verdi, PS e PVL proporranno un compromesso, chiedendo di anticipare ulteriormente l’uscita al 2029.
Due visioni differenti
Partiamo dalla posizione della maggioranza della Commissione ambiente, territorio ed energia, la quale in prima battuta ricorda che il Governo ha spiegato nel dettaglio i motivi per cui, tecnicamente, un’uscita anticipata dalla partecipazione sarebbe quantomeno complessa, se non controproducente. Infatti, come viene ricordato nel rapporto del relatore Luca Renzetti (PLR), «AET è legata da contratti di consorzio e di fornitura energetica con gli altri partner della centrale e con le banche finanziatrici» e «questi accordi limitano la possibilità di un’uscita anticipata senza pesanti penalità economiche». Detto in soldoni, uscire dall’accordo prima del 2035 comporterebbe «perdite significative». Certo, ammette anche la maggioranza della commissione, una cessione anticipata «potrebbe inviare un segnale forte e simbolico di rottura con il passato e rappresentare un passo concreto verso una maggiore responsabilità ambientale». Tuttavia, viene aggiunto nel rapporto, «è fondamentale considerare anche le ripercussioni pratiche» di una scelta simile. Da una parte, come detto, perché avrebbe conseguenze negative sul piano economico. Ma non solo: «la vendita della partecipazione non comporterebbe alcune reale vantaggio ambientale», poiché la centrale «continuerebbe a funzionare e a produrre CO2 anche senza la quota di AET». Insomma, alla luce di ciò la maggioranza boccia la mozione dell’MPS e invita il plenum a «sostenere le raccomandazioni del Consiglio di Stato, che privilegia un approccio cauto e coordinato per raggiungere l’obiettivo finale della dismissione entro il termine del 2035».
Una visione diametralmente opposta viene proposta dal rapporto di minoranza curato dal capogruppo dei Verdi Matteo Buzzi. Qui, in primis viene ricordato che «l’uso del carbone quale fonte energetica è uno dei motori principali del cambiamento climatico». Ma viene pure sottolineato che in questi 14 anni, dalla votazione popolare a oggi, le cose sono cambiate. E di parecchio. Ad esempio, la Svizzera ha ratificato l’accordo di Parigi, che prevede l’obiettivo zero emissioni globali nette entro il 2050. In sintesi, si legge nel rapporto, «è evidente che tutti i nuovi elementi scientifici che si sono aggiunti negli ultimi 13 anni soprattutto in ambito climatico, sia sotto forma di dati che di studi, non possono che dare una chiave di lettura ben più negativa riguardo all’impatto climalterante e ambientale dell’investimento di AET a Lünen». E questo «dato di fatto combinato ad una sensibilità ambientale accresciuta della popolazione (...) porterebbe oggi ad un risultato probabilmente diverso rispetto a quello di 13 anni fa». E dunque, in soldoni, oggi occorre fare di più. E, nel concreto, anticipare l’uscita dalla partecipazione nella centrale a carbone alla fine del 2029.