La crisi dei semiconduttori investe in pieno anche il Ticino

In determinate circostanze, è facile scoprire quanto sia piccolo il mondo. La crisi dei semiconduttori è una di queste circostanze. Da mesi, ormai, la produzione di microchip non riesce più a soddisfare la domanda dell’industria ad alto contenuto tecnologico. Le fabbriche si fermano. Un po’ ovunque. E il Ticino non fa eccezione. In alcuni casi, la situazione è addirittura «drammatica», come ammettono i diretti interessati.
«Non ci siamo mai trovati in condizioni simili - dice al Corriere del Ticino Alessandra Juri Zanolari, direttrice della “Adolfo Juri Elettronica Industriale SA” di Ambrì - La crisi delle materie prime si è estesa a tutta la componentistica e per aziende come la nostra l’approvvigionamento è diventato molto critico».
Se nel 2020 le scorte erano riuscite, almeno in parte, ad arginare il problema, nel 2021 le incognite hanno preso il sopravvento. «La congiunzione di fattori negativi è stata straordinaria - spiega Juri Zanolari - Penso alla pandemia, in particolare, ma non solo: i siti in cui si producono i microprocessori, quasi tutti in Asia, si sono fermati prima ancora che noi ci rendessimo conto di che cosa stesse accadendo. L’impatto, a lungo termine, è stato fortissimo».
Il ritardo dell’Europa
Imprese come quella ticinese, che normalmente fanno capo per i loro acquisti ai distributori ufficiali europei e americani, si sono dovute rivolgere anche a broker che hanno dovuto essere «omologati». E i tempi di consegna si sono irrimediabilmente allungati.


«Purtroppo - chiosa la direttrice della Juri - l’Europa ha drasticamente ridotto le produzioni di microprocessori da almeno due decenni». Com’era già accaduto per le mascherine e per altri tipi di manufatti, il Vecchio Continente ha toccato con mano quanto grande sia stato l’errore di “delegare” la fabbricazione di beni divenuti improvvisamente strategici agli opifici dei giganti asiatici. «Certo, sarebbe importante rimettere in piedi le linee di produzione dei chips in Europa, ma è un’impresa colossale che richiede moltissimi investimenti. Tuttavia, sembra che l’Europa si stia riattivando», aggiunge Juri Zanolari.
Un blocco generalizzato
«Più o meno, tutte le aziende che producono elettronica, connettori o cose simili hanno in questo momento grosse difficoltà a reperire la necessaria componentistica - dice Stefano Modenini, direttore di AITI - una parte dell’industria cantonale è stata costretta a rallentare parecchio, a mettersi in coda per acquistare i microprocessori la cui domanda è cresciuta in modo vertiginoso».
In realtà, il “blocco” generalizzato seguìto alla pandemia ha fatto saltare molte certezze in quasi tutti i settori. Le materie prime scarseggiano, Cina e Stati Uniti stanno comprando in massa, mettendo i più “piccoli” nell’angolo.
Alla “Faulhaber Minimotor” di Croglio, spiega Dario Marangoni, team leader degli acquisti, «una negoziazione avviata in tempo è riuscita a limitare i danni e a evitare grossi ritardi». La difficoltà di trovare sul mercato ii microprocessori, però, si fa sentire soprattutto nel campo della progettazione.
«La realizzazione di nuovi prodotti richiede ovviamente l’utilizzo di chips diversi, per avere i quali si deve andare sul mercato. Con tutte le incertezze che ne conseguono». Peter Appel, uno dei “buyer” della Faulhaber, spiega con un semplice esempio la dimensione del cambiamento: «Termini di consegna che nel 2020 erano fissati a 8 settimane, sono saliti oggi fino a 32 settimane. La domanda di semiconduttori è letteralmente esplosa, anche perché sono sempre più numerosi i settori industriali che utilizzano i microchip».
Salgono i prezzi
Altro problema, negli ultimi tempi, è stato il prezzo dei vari componenti. «L’impatto, al momento, è attorno al 10-15% - dice ancora Appel - quasi una normale conseguenza di ciò che è accaduto. Tuttavia, ci sono fornitori che tentano di approfittare della situazione e broker che promettono tempi più rapidi a fronte di costi maggiori». Un corto circuito che, a catena, potrebbe portare all’aumento dei prezzi del prodotto finito o, in alternativa, alla necessaria riduzione dei margini di guadagno per le imprese.
Anticipare il mercato, e «non subirlo», è quindi la strada che anche le aziende ticinesi devono tentare di percorrere per non essere travolte dal “Chipageddon”, com’è stata ribattezzata la tempesta perfetta che ha scosso dalle fondamenta l’industria ad alta tecnologia a causa della mancanza di microprocessori.
«È probabile che sino alla fine del 2022 le cose non debbano cambiare - conclude Alessandra Juri Zanolari - ed è preoccupante il fatto che non manchino soltanto i semiconduttori, ma ogni genere di materia prima: dal silicio, che è stato utilizzato in grande quantità per la produzione dei vaccini, al rame e all’acciaio, fino al cartone per gli imballaggi. Noi facciamo il possibile, ma nei prossimi mesi dovremo affrontare grandi difficoltà».
Gli esperti: «L’emergenza semiconduttori destinata a durare ancora a lungo»
Secondo gli stessi produttori di microchip, con una domanda così forte la carenza di approvvigionamento potrebbe prolungarsi sino alla fine dell’anno, e anche oltre
«Never seen anything like it». Mai visto niente di simile. Elon Musk, patron di Tesla e re delle auto elettriche nel mondo, ha spiegato in un tweet, qualche giorno fa, la situazione di crisi che l’industria manifatturiera sta vivendo a causa della carenza di semiconduttori. La «paura», ha scritto Musk, sta portando ogni impresa «a ordinare i microchip in eccesso: come la carenza di carta igienica, ma su scala epica».
Ironia a parte, il problema è serissimo, e non riguarda soltanto l’industria delle quattro ruote. Da mesi, ormai, il «chip shortage» ha costretto grandi e piccole aziende a rivedere i propri piani (vedi il CdT del 3 maggio scorso).
L’avanzata inarrestabile della tecnologia digitale ha determinato infatti, come suo corollario principale, il dominio dei semiconduttori, che ormai controllano miriadi di beni di consumo: questi minuscoli dispositivi di silicio e terre rare attivano il cervello un po’ di ogni cosa: dai computer ai telefoni cellulari, dalle console alle lavatrici, agli spazzolini da denti. Glenn O’Donnell, vicepresidente della società di consulenza “Forrester Research” (una delle più importanti degli Stati Uniti), ha reso bene l’idea con una battuta fulminea: «se un oggetto ha una spina o una batteria, probabilmente è pieno di chip».
La situazione, come detto, è complessa. Su molti fronti. Acer, secondo costruttore di personal computer al mondo, produce al momento metà di quanto dovrebbe. Per questo, ha deciso di sacrificare per il momento i prodotti “gaming” decidendo di destinare le risorse disponibili ad altre linee. La direttrice operativa dell’industria taiwanese, Tiffany Huang, in un articolo pubblicato dal “Guardian” ha ammesso la necessità, per Acer, di dover fare i conti con una severa scarsità di semiconduttori. Per ogni singolo giorno, possiamo soddisfare soltanto il 50% della domanda a livello globale», ha aggiunto.


Negli Stati Uniti, la Ford ha invece previsto di interrompere questo mese la produzione in otto dei suoi stabilimenti. La società ipotizza inoltre che la carenza di chip ridurrà i suoi guadagni di circa 2,5 miliardi di dollari nel 2021. Il direttore finanziario della Ford, John Lawler, ha ammesso che il primo trimestre del 2021 si è concluso con soli 44 giorni di fornitura di veicoli, molto al di sotto di quanto accade normalmente (60 giorni).
In Giappone, la prolungata carenza di microchip ha invece costretto la Nissan a posticipare il lancio della Ariya. La nuova auto elettrica, erede della Leaf, avrebbe dovuto debuttare sul mercato interno a luglio e sbarcare sui mercati americano ed europeo nei primi giorni del 2022. Nessuna di queste date sarà rispettata.
«L’anno scorso avevamo annunciato che la Ariya sarebbe arrivata nella seconda metà del 2021, ma questo non sarà possibile: l’emergenza legata alla COVID-19 si è protratta più a lungo di quanto ci aspettassimo e pesa anche la cronica mancanza di semiconduttori», ha detto l’altro giorno la vicepresidente di Nissan, Asako Hoshino.
La domanda che tutti si fanno è sempre la stessa: quanto durerà questa “emergenza”?
L’altroieri, sulla prima pagina del “Financial Times”, Harry Dempsey ha spiegato come «la carenza globale di microchip che sconvolge l’industria automobilistica e minaccia la fornitura di beni di consumo ad elevata tecnologia potrebbe protrarsi almeno per un altro anno». Questa, almeno, è la previsione dei manager di Flex, terzo produttore al mondo di elettronica, una società che nel 2020 ha fatto segnare ricavi per 24,2 miliardi di dollari. Lynn Torrel, responsabile degli acquisti e della catena di approvvigionamento di Flex, ha dichiarato allo stesso “Financial Times” come siano stati proprio i produttori di semiconduttori a posticipare le loro previsioni su quando finirà la carenza. «Con una domanda così forte, l’aspettativa della fine della crisi è tra la metà e la fine del 2022. E alcuni si aspettano addirittura che le carenze continuino nel 2023», ha aggiunto Torrel.