Il caso

Liceo di Bellinzona, «intervento inevitabile: sta cadendo a pezzi»

Giro d’orizzonte fra gli ex allievi dopo il via ai lavori per l’ammodernamento dell’edificio – «La vecchia struttura non era più idonea ed al passo coi tempi per quanto riguarda la formazione» – Critiche anche ai prefabbricati
Il cantiere, in primo piano, e dietro i prefabbricati. © CdT/Gabriele Putzu
Sara Zehnder
10.07.2023 06:00

Carenza di spazi ed esigenze edilizie legate alla formazione sono i motivi principali all’origine della ristrutturazione del Liceo di Bellinzona. Un restyling che per gli studenti, non solo per gli addetti ai lavori, non si poteva più procrastinare. La fine del cantiere, iniziato di recente come riferito dal Corriere del Ticino martedì, è prevista nel giugno 2025. Il progetto prevede un cambiamento radicale rispetto al vecchio stabile edificato a fine anni Settanta; lo scopo è quello di creare un ambiente che favorisca l’apprendimento scolastico, culturale e sociale dei giovani.

Per fare ciò si procederà ad un ampliamento verso la golena del fiume Ticino ed in più è previsto l’innesto di un elemento centrale che ospiterà la mensa (assente oggi), l’aula magna, l’aula studio e la biblioteca. Per la realizzazione è stata stanziata dal Cantone una quarantina di milioni di franchi. Dallo scorso settembre, intanto, gli allievi stanno seguendo le lezioni in un complesso di prefabbricati posizionato tra l’istituto e il Bagno pubblico.

La pandemia e l’inadeguatezza

Ma cosa ne pensano gli studenti? Il restyling del Liceo era veramente necessario? Il CdT ha fatto un giro d’orizzonte e, secondo le testimonianze di alcuni ex allievi che hanno concluso la loro formazione negli anni appena precedenti al trasferimento nei prefabbricati, l’istituto cittadino «cadeva a pezzi». Non solo era giusto metterci mano ma, anzi, l’intervento sarebbe dovuto arrivare molto prima. La struttura, ci dicono, non era adeguata alla formazione scolastica, lo spazio era ristretto e gli studenti troppi.

Questa inadeguatezza è emersa in modo lampante nel periodo della pandemia, quando bisognava mantenere le distanze ma materialmente non era sempre possibile. Nelle aule, inoltre, faceva «o troppo caldo d’estate o troppo freddo d’inverno», bastava una folata di vento per rompere le tapparelle. Critiche anche al materiale didattico a disposizione dei docenti. Gli studenti ci segnalano infatti che le aule non erano tutte equipaggiate allo stesso modo: in certe ad esempio c’erano i beamer, in altre no, in altre ancora non funzionavano. Spesso molte lezioni erano tenute nel seminterrato, nell’«aula teatro», a causa della mancanza di spazio.

La carenza di spazio

Ma il problema principale si presentava all’ora di pranzo: non c’era spazio per tutti. Secondo un ex studente «ogni volta era una corsa alle sedie e se finivi cinque minuti più tardi la lezione mangiavi per terra». Non c’era una mensa, al contrario della Scuola cantonale di Commercio, ma solo una caffetteria e pertanto «molti allievi si portavano il pranzo da casa: purtroppo però c’erano solamente 4 microonde disponibili per circa 800 studenti». Insomma, secondo le testimonianze la struttura non era adeguata alla formazione che avrebbe dovuto offrire. Anche l’esperienza nei prefabbricati non si è rivelata proprio soddisfacente; stando ad una studentessa che ha appena concluso il terzo anno, oltre a non garantire l’isolamento acustico necessario, hanno portato «anonimità nell’ambiente» e un mancato «senso di appartenenza» .

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