Il caso

Lo spaccio via chat criptata e quelle pressioni in cella

Una delle venti persone arrestate nell’ambito di alcune inchieste antidroga ha chiesto invano la scarcerazione – Troppo alto il rischio di inquinamento delle prove – Un altro indagato ha invece fornito parziali ammissioni ma in prigione qualcuno ha tentato di «convincerlo» a ritrattare
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Nico Nonella
10.11.2023 17:30

Ci sono novità di rilievo sul maxi-traffico di droga tramite la chat criptata SkyECC che ha toccato anche il nostro Cantone. Come da noi anticipato lo scorso 1. settembre, questo imponente smercio di stupefacenti non è sfociato in un’unica inchiesta bensì in tanti «rivoli», procedimenti distinti uniti tra loro dal contesto dell’utilizzo dell’app di messaggistica, nel frattempo non più accessibile, che a loro voplta hanno portato all’arresto di una ventine di persone. Come emerso da una sentenza del Tribunale federale dello scorso 30 ottobre, uno degli indagati, attualmente in detenzione preventiva, non verrà scarcerato visto l’alto rischio di inquinamento delle prove. Inoltre, un altro indagato ha parzialmente ammesso i fatti ha subito pressioni in carcere affinché le ritrattasse.

Dati acquisiti correttamente

Partiamo dalla richiesta di scarcerazione negata. Lo scorso 21 agosto erano finite in manette cinque persone sospettate di avere, «sia singolarmente che in correità con altre persone, in parte identificate, importato dall’Italia e spacciato in Ticino marijuana, hashish e cocaina tra il 2019 e il 2023». Il provenite del traffico di stupefacenti sarebbe poi stato trasportato nella vicina Penisola in favore di terzi. La somma complessiva è da accertare ma, sottolinea il TF, è sicuramente ingente. A uno degli indagati, patrocinato dall’avvocato Daniele Iuliucci, viene in particolare contestato di aver preso in consegna da uno dei presunti correi almeno 30 chilogrammi di marijuana. L’inchiesta che ha portato al suo arresto era stata aperta un anno prima, con gli inquirenti che avevano acquisito tramite rogatoria dell’8 marzo 2023, le informazioni assunte nel 2021 dalle polizie francesi, belghe e olandesi, le quali erano riuscite a infiltrarsi nella chat criptata. Dall’analisi di questi dati, gli inquirenti ticinesi erano riusciti a stabilire che l’uomo aveva in uso un codice PIN che gli permetteva di accedere a SkyECC.

Visti gli indizi a suo carico, una delle procuratrici pubbliche titolari delle varie inchieste (se ne stanno occupando Marisa Alfier e Valentina Tuoni, ndr) aveva ordinato la carcerazione preventiva dell’indagato, accolta dal Giudice dei provvedimenti coercitivi. L’uomo – attualmente ancora dietro le sbarre – aveva impugnato la misura fino al Tribunale federale, contestando in particolare l’utilizzabilità delle prove raccolte a suo carico tramite la chat criptata. Sia la Corte dei reclami penali sia il Tribunale federale hanno però ritenuto che la Magistratura «ha acquisito correttamente i summenzionati dati, mentre non vi sono riscontri che gli stessi siano stati acquisiti illecitamente dagli inquirenti francesi, belgi o olandesi». Ragione per cui «possono essere utilizzati».

La Corte cantonale ha precisato che il tema dell’utilizzabilità di questi dati e delle modalità della loro acquisizione sembra essere tuttora oggetto di discussione in ambito giudiziario internazionale, sul quale tuttavia le autorità giudiziarie svizzere non si sono ancora pronunciate». In ogni caso, nonostante i gravi indizi a carico dell’uomo, quest’ultimo «si è rifiutato di esprimersi».

I giudici del Tribunale federale, al pari della Corte dei reclami penali, hanno rilevato che «in ragione dello stadio attuale dell’inchiesta e della complessità della medesima non può essere escluso il pericolo di collusione e di inquinamento delle prove in capo al ricorrente, in particolare con le persone coinvolte nell’inchiesta. «Le numerose chat e i dati acquisiti tramite rogatorie dagli inquirenti – spiegano i giudici federali – non sono ancora state compiutamente esaminate, con l’identificazione di tutti i PIN degli utilizzatori, ma soprattutto contestate al ricorrente e agli altri coimputati, al fine di ricostruire i fatti e chiarire le responsabilità di tutte le persone coinvolte, senza il rischio di interventi collusivi».

Parziali ammissioni

Dalla sentenza del Tribunale federale emerge inoltre un altro aspetto che ben inquadra la complessità e la delicatezza del caso. Tra gli imputati vi è anche un’altra persona, attuale compagno della madre dei figli del ricorrente, il quale in carcere ha già subito diverse pressioni affinché ritrattasse le proprie ammissioni.

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