«L’ultima possibilità di essere svizzeri e non gli ultimi della classe»

Chiacchierata a tutto tondo con il sindaco di Lugano Michele Foletti, in vista della votazione del prossimo 9 giugno sul pacchetto di sgravi fiscali. Il suo sostegno alla riforma come occasione da cogliere per i Comuni e tutto il Cantone.
Sindaco Foletti, qual è la sua posizione sul pacchetto di sgravi fiscali sul quale saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 9 giugno?
«Sono favorevole, voterò un sì convinto».
Veniamo alla posizione dei Comuni. Quando il Parlamento è intervenuto con la riduzione delle aliquote dell’1,66% da parte degli Enti locali c’è stata una levata di scudi. Ma con il trascorrere delle settimane è cresciuta la fetta di amministratori locali che sostengono la riforma. Come lo spiega?
«Semplicemente perché il Gran Consiglio, senza nemmeno sentire il parere dei Comuni, ha cambiato la proposta che era stata concordata con il Consiglio di Stato. E questo non è stato assolutamente corretto. Il Parlamento deve rendersi conto che quando legifera le ripercussioni spesso ricadono sugli enti locali che perdono autonomia e vedono stravolte le proprie strategie politiche. È tanto inutile impegnarsi in un dialogo con il Governo per trovare soluzioni condivise e poi veder buttare tutto all’aria da un Parlamento insensibile nei confronti dei Comuni».
A chi tende a sminuire l’aumento delle imposte del 3% per tutti con un no alle urne, come replica?
«Che in questo caso, invece di fare un passo avanti, ne faremmo uno indietro. E mi sembra che quella di farsi male con le proprie mani stia diventando una specialità di questo Cantone. Spero sinceramente di sbagliarmi».
Gli avversari sostengono che il fronte del sì locale è mosso solo da motivazioni politico partitiche. Allora lei sostiene solo perché è leghista e non può distanziarsi?
«Guardi, io ho sempre cercato di ragionare con la mia testa e non sono sempre stato allineato con le scelte della Lega. Una cosa che alcuni leghisti mi hanno spesso rimproverato, ma di cui vado fiero perché cerco sempre di anteporre l’interesse generale a quello dei partiti che – purtroppo – è sovente solo elettorale. Io credo che questo Cantone, se vuole avere un futuro, deve poter giocare ad armi pari con gli altri Cantoni. E per farlo deve votare sì alla riforma fiscale».
Un no lascerebbe il Ticino ancora al palo nella corsa alla concorrenza fiscale. È un fattore da tenere in considerazione o di poco conto?
«È fondamentale! Piaccia o meno, la concorrenza fiscale è un elemento fondante del nostro sistema federale. Noi in Ticino possiamo giocare tutte le nostre carte nel migliore dei modi, ma ne abbiamo una in meno: quella del fisco amico. E se vogliamo crescere come cantone, dare opportunità ai nostri giovani, creare posti di lavoro interessanti dobbiamo risalire la china in ambito fiscale: non possiamo pretendere di essere uno dei cantoni più penalizzanti per chi fa impresa e sognare di convincere imprenditori e manager ad aprire aziende di valore nel nostro cantone».
Ed esiste anche la concorrenza tra i Comuni. Come vive questa realtà la città di Lugano?
«Con un po’ di preoccupazione perché ci sono ancora troppi amministratori comunali che non si rendono conto che la loro fortuna è quella di avere alle loro porte una città come Lugano in grado di essere trainante e attrattiva».
A sinistra viene sempre sventolato lo spauracchio secondo il quale gli sgravi svuotano le casse. La sua esperienza a Lugano cosa dice in questo senso?
«Gli sgravi evitano di svuotare le casse. Purtroppo vedo troppo spesso cittadini svizzeri che lasciano la Città per trasferirsi in altri cantoni o in altri Paesi dove la pressione fiscale è più sopportabile e questo vuol dire svuotare le casse. Sono imposte sul reddito e sulla sostanza che non incasseremo più, ma sono anche persone che non spenderanno più i loro soldi da noi e lo faranno altrove. Se facciamo scappare i contribuenti migliori, sarà poi il ceto medio a dover pagare più imposte per garantire allo Stato le risorse per pagare il suo funzionamento e garantire le politiche sociali. Ma questo non reggerà a lungo».
In un pacchetto ci sono misure più o meno digeribili. Qual è quella che ha contribuito in maniera particolare a farle dire sì?
«Credo il pacchetto sia equilibrato con misure per i lavoratori, per il trapasso generazionale delle imprese, per chi vuole ritirare il proprio capitale pensionistico e per gli alti redditi. Quest’ultima misura è quella che mi ha fatto dire sì perché non possiamo pretendere di attirare imprese e posti di lavorio ben pagati con una tassazione che è il doppio rispetto ad altri cantoni per i dirigenti e i proprietari».
Nell’acceso dibattito di queste settimane è apparso sfuggente un elemento: fino al 2028 la riforma varata dal Gran Consiglio ha per i Comuni un impatto inferiore rispetto al progetto governativo. Questo, è innegabile, vi concede un maggiore margine d’azione. Come potrebbe essere sfruttato?
«Potrebbe permettere un po’ più di tempo per valutare la situazione e l’evoluzione dei gettiti, ma ha anche lo svantaggio di impiegare qualche anno prima di ritrovare una certa concorrenzialità. Speriamo che i contribuenti abbiano la pazienza di attendere».
I Comuni stanno chiudendo i conti in attivo in questi anni. Sappiamo che il futuro è incerto per tutti, ma cosa cambia per un cittadino di Lugano con un sì o con un no alla riforma?
«Beh, con un no alla riforma pagheremo tutti il 3% in più di imposte. Con un sì alla riforma avremo una carta da giocare per creare posti di lavoro interessanti e compensare quelli che abbiamo perso negli anni nel settore bancario. Potremmo dare l’opportunità ai nostri giovani di restare a vivere in Ticino invece che andarsene oltre Gottardo».
Cosa si gioca il Ticino domenica 9 giugno dal profilo della fiscalità?
«Forse l’ultima possibilità di essere un Cantone svizzero a tutti gli effetti, non l’ultimo della classe».