«Mini» truffe alla banca WIR: due condanne e un'assoluzione
«Per questo proscioglimento ringrazi forse chi degli altri protagonisti di questa vicenda non ha avuto la coscienza morale di raccontare come sono andate le cose». È con queste parole che il presidente delle Assise criminali Marco Villa ha assolto oggi per mancanza di prove un 46.enne imprenditore italiano dall’accusa di correità in alcune truffe perpetrate nel 2015 ai danni di banca WIR. Truffe che, limitatamente al processo terminato oggi (quello principale è andato a sentenza un paio di mesi fa), hanno cagionato all’istituto di credito un danno di oltre due milioni di franchi. Truffe per cui sono invece stati condannati a pene sospese altri due imputati: un fiduciario commercialista ticinese 56.enne (19 mesi) e un geometra italiano 58.enne (12 mesi).
Le motivazioni
«La truffa è pacificamente data - ha spiegato Villa - perché di fatto è la banca che finanzia i crediti di costruzione con i propri soldi. Se l’avesse saputo sfido chiunque a pensare che avrebbe dato l’ok alle operazioni. E l’inganno è sicuramente astuto perché i funzionari di Basilea avevano il diritto di credere all’allora direttore della filiale di Lugano». Tutti gli imputati, a partire dall’ex direttore condannato per alcuni episodi nel processo principale a cinque anni e nove mesi, si sono però sempre professati innocenti: «È un diritto degli imputati dire bugie - ha ricordato il giudice oggi - ma non è che perché tutti scaricano su tutti che tutti devono essere prosciolti. Vi sono elementi oggettivi agli atti». In alcuni casi sufficienti, in altri no. Da cui il proscioglimento del 46.enne difeso dall’avvocato Roberto Rulli: «Abbiamo trovato qualcosa di obiettivamente strano, ma non abbastanza per essere certi che sapesse benissimo cosa stava accadendo».
Discorso diverso per le due persone condannate, malgrado per entrambe vi siano stati parziali proscioglimenti. Per la Corte, infatti, dagli atti emerge che il 56.enne fiduciario difeso dall’avvocata Luisa Polli «non poteva non sapere» che la persona (già condannata) a cui la sua società aveva erogato un prestito non possedeva i mezzi propri per accendere un credito ipotecario. E il prestito glielo ha concesso «perché sapeva che i soldi sarebbero rientrati dalla banca». Idem per un altro cantiere. Idem il 58.enne italiano, che il credito l’aveva acceso per se stesso anche con dei soldi prestatigli dall’ex direttore. Credito poi usato in parte per rimborsare l’ex dirigente e in parte quali (presunti) mezzi propri per permettere a un’altra persone ancora - pure priva in realtà di mezzi propri - di accendere un altro credito ipotecario. Sempre con l’ignara banca WIR.