«Nessun abuso di gruppo, era in grado di scegliere»

«Niente e nessuno ci dice che quella sera la ragazza era ubriaca a tal punto da essere incapace di determinarsi sessualmente». La linea difensiva intuita ieri in aula durante il processo indiziario a carico di tre luganesi di 31, 27 e 24 anni, accusati di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, è stata confermata questa mattina con il proseguimento delle arringhe. Un impianto difensivo che ruota attorno allo stato di inettitudine della vittima, fondamentale per determinare se quella sera di fine luglio 2019, a margine di una festa, fosse talmente ubriaca da non poter opporre resistenza al 31.enne e al 27.enne, che ebbero con lei un rapporto sessuale (il terzo imputato si era limitato a guardare). Per Sandra Xavier, patrocinatrice del 27.enne, e Niccolò Giovanettina, difensore dell’imputato principale, il 31.enne, la ragazza era «brilla e disinibita e, quindi, non poteva essere incapace di discernimento».
«Diverse incongruenze»
La difesa si è basata principalmente su due punti. Il primo, l’interpretazione del risultato della perizia che aveva indicato un possibile tasso alcolemico minimo di 1,35 grammi per mille e massimo di 3,10. Il secondo, le testimonianze raccolte dopo l’accaduto, che «non hanno confermato lo stato di ebrietà della vittima». Xavier ha parlato di «inconsistenza del castello accusatorio» e di «incongruenze nel definire il quantitativo di alcol consumato». Insomma, la donna era in grado di scegliere e di determinarsi sessualmente (ad esempio, «aveva detto al mio assistito di fermarsi quando non voleva più proseguire il rapporto»). In particolare, facendo riferimento all’articolo 191 del Codice penale che disciplina questo reato, la legale ha argomentato che «lo stato di inettitudine al momento dei fatti deve essere totale; se è già solo parziale viene a cadere la qualifica giuridica». A riprova di ciò, ha rilevato che a seguito dei fatti, la ragazza «si è messa al volante e ha percorso una decina di chilometri per tornare a casa».
Per quanto riguarda la perizia, l’avvocata ha parlato di risultati «non realistici e attendibili in quanto poggiano su basi teoriche. Quindi, in virtù del principio in dubio pro reo, bisognerebbe prendere in considerazione il dato più basso dell’alcolemia». Essendo un processo indiziario, la legale ha anche indicato le dichiarazioni della vittima come «poco chiare e poco lineari, ma discontinue e contraddittorie con ricordi selettivi».
«Qualche bicchiere di troppo»
Anche Giovanettina ha contestato una perizia «discutibile, assurda e teorica», evidenziando che «non ci sono agli atti elementi oggettivi e soggettivi che indicano come la ragazza abbia bevuto fino a essere incapace di determinarsi sessualmente. Anzi, è un insieme raffazzonato di elementi confusi, perché manca una quantità d’alcol tale da giustificare l’inettitudine. Rimane un mistero del perché una donna, presunta vittima di abusi, si sia recata in ospedale la mattina dopo i fatti, ma debba aspettare fino a metà pomeriggio per sottoporsi a delle analisi sul tasso alcolemico». Il patrocinatore dell’imputato principale ha parlato anche di «diversi testimoni che non ci descrivono la donna ubriaca; parlano di qualche bicchiere di troppo, non una persona che barcolla o gattona. Come ha fatto a tornare a casa con la propria auto nelle condizioni presupposte dal reato?». I difensori hanno chiesto l’assoluzione dei tre imputati «perché mancano gli elementi oggettivi del reato», tesi sostenuta ieri anche dall’avvocato Massimo De’Sena, legale del 24.enne, secondo cui «gli imputati non dovrebbero trovarsi in aula». Il procuratore pubblico Zaccaria Akbas, lo ricordiamo, aveva invece proposto pene di 36 e 28 mesi in parte da scontare per gli imputati principali e 20 mesi sospesi per l’amico. La rappresentante della vittima, Letizia Vezzoni, si era allineata alle richieste del pp. Il presidente della Corte delle assise criminali, Siro Quadri, leggerà la sentenza giovedì mattina.