Processo

«Non fu affatto legittima difesa, volevano dargli una lezione»

Chieste pene fino a 4 anni e mezzo per gli autori del violento pestaggio ai danni di un richiedente l’asilo avvenuto l’8 ottobre 2022 nella Rotonda di piazza Castello a Locarno – Loro si difendono: «Volevamo solo che la smettesse di minacciarci»
Rissa rotonda Locarno
Spartaco De Bernardi
17.04.2023 19:18

«Se ci si sente minacciati da una persona, che per di più impugna un coltello, non la si affronta scagliandosi contro di lei. Ci si deve girare e scappare nella direzione opposta. Invece loro hanno accettato la sfida perché volevano dargli una lezione. La tesi della legittima difesa non regge». Il procuratore pubblico Pablo Fäh è certo: i quattro giovani da oggi a processo di fronte alla Corte delle Assise criminali di Locarno, riunite a Lugano sotto la presidenza del giudice Amos Pagnamenta (giudice a latere Renata Loss Campana e Fabrizio Filippo Monaci), hanno risposto alle provocazioni del richiedente l’asilo dello Sri Lanka accanendosi contro di lui senza esclusione di colpi la notte dell’8 ottobre 2022 nella Rotonda di piazza Castello.

Colpi potenzialmente letali

«Colpi che avrebbero potuto ucciderlo. Solo per un caso le lesioni subite dalla vittima sono state tutto sommato lievi», ha aggiunto il rappresentante della pubblica accusa che per i due principali imputati, un 30.enne cittadino italiano residente nel Locarnese ed un suo connazionale di 23 anni domiciliato nella penisola, ha chiesto una pena detentiva di 4 anni e 6 mesi ciascuno, nonché l’espulsione dalla Svizzera per un periodo di 8 anni.Per gli altri due giovani alla sbarra, un 28 enne del Locarnese ed il fratello gemello del 23.enne, le pene richieste sono rispettivamente di 2 anni sospesi e di 9 mesi, pure sospesi. «La vittima, con il suo comportamento, ha sicuramente provocato gli imputati. Provocazione alla quale i quattro hanno risposto con un pestaggio in piena regola», ha ancora argomentato il procuratore pubblico Pablo Fäh, chiedendo la conferma dell’atto di accusa. Pugni e calci a ripetizione, senza contare i colpi inferti con uno skateboard. «Avrebbero potuto immobilizzarlo e togliergli il coltello di mano. Invece hanno continuato a colpirlo anche quando era a terra e non rappresentava più una minaccia». Colpi diretti anche alla testa, ha ribadito il procuratore pubblico, checché ne dicano i due principali imputati. «Colpi potenzialmente letali che configurano il reato di tentato omicidio intenzionale per dolo eventuale» ha concluso Fäh.

Un’escalation di violenza

I fatti rievocati in aula penale risalgono, come detto, alla notte dell’8 ottobre scorso. Dopo un primo incontro ravvicinato tra il richiedente l’asilo ed il 30.enne che si era limitato ad uno scontro verbale, sembrava che tutto si fosse risolto. Ma qualche tempo dopo il cittadino dello Sri Lanka si para ancora davanti al suo «rivale» mentre quest’ultimo è in compagnia degli altri tre imputati. Certo, pensandoci ora a mente fredda, tutti e quattro, chi più chi meno, di fronte alla Corte hanno ammesso che sarebbe stato meglio andarsene o comunque chiamare la Polizia. Ma così non fu. E si arrivò allo scontro. Pugni, calci, sassate e colpi inferti con uno skateboard.

«Temevo per la mia vita»

«No, non volevamo dargli una lezione perché ci aveva rotto le scatole tutta la sera». Volevamo semplicemente che se andasse, che la smettesse di minacciarci», si sono giustificati i quattro giovani incalzati dalle domande del giudice Pagnamenta. Se non lo avessero fermato avrebbe continuato a scagliarsi contro di loro brandendo il coltello. «Me lo sono trovato davanti a meno di mezzo metro. Ha tentato più volte di colpirmi con il coltello. Ho temuto per la mia vita e mi sono lasciato andare. So di aver commesso un errore, ma ho agito d’istinto», ha raccontato il 30.enne che ha negato di averlo voluto colpire con calci e pugni alla testa. Un’affermazione, questa, che stride però con le immagini dell’aggressione girate con il telefonino, postate in rete ed acquisite dagli inquirenti. Immagini che ritraggono uno dei fratelli gemelli brandire uno skatebord e sferrare almeno cinque colpi al corpo del richiedente l’asilo. «Non ho mai mirato alla testa, ma alla spalla. Volevo che mollasse il coltello», ha ripetuto anch’egli a più riprese rispondendo alle domande del presidente della Corte. «Quando ho visto che non impugnava più il coltello ho smesso di colpirlo. Ribadisco, il nostro intento era solo quello di difenderci». Una versione, quella del 23.enne, confermata dal suo gemello che scagliò un grosso masso contro il richiedente l’asilo facendolo cadere a terra. Ed anche dal 28.enne che sferrò due calci al rivale.

Domani la parola passa alle difese rappresentate dagli avvocati Giuseppe Gianella, Pascal Cattaneo, Chiara Donati e Felice Dafond.

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