Val Mara

Oggi è una dogana deserta, ma un tempo «intrappolava»

Il valico di Arogno non è più presidiato, ma tra gli anni ‘80 e ‘90 ha creato grattacapi ad alcuni automobilisti – Dista un chilometro da quello di Lanzo d’Intelvi – «A mezzanotte chiudevano: c’è chi, in quel tratto, ha dormito in macchina»
Anni fa gli orari di apertura erano dalle 6 alle 24. © CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
22.04.2025 06:00

Un’imponente struttura in cemento armato tra i boschi della Val Mara lontana oltre un chilometro dalla sua omonima sul lato italiano. Praticamente una cattedrale nel deserto, che vigila su un confine non più pattugliato (i controlli sono mobili) per ragioni strategiche della Dogana Sud. È la dogana di Arogno. Da tempo l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) sta riorganizzando il suo portfolio immobiliare con la messa in vendita di alcune case doganali perché, appunto, non più utilizzate. I tempi sono cambiati, il modo con cui si presidia il confine anche e la strategia operativa ai valichi pure. Alcuni immobili presenti sul territorio, sebbene rispecchino questi mutamenti, come ad esempio Arogno, non vengono però dismessi dall’UDSC nonostante il confine non sia più presidiato. Tuttavia, chi ci ha lavorato tra gli anni ‘80 e ‘90, ha parecchi aneddoti storici da raccontare. Il primo, il più curioso, riguarda proprio quel chilometro di strada che separa Svizzera e Italia, più precisamente la dogana di Lanzo d’Intelvi: una sorta di terra di nessuno in cui, però, qualcuno è rimasto "intrappolato".

Barriera di qui, cancello di là

Diverso, anni fa, il servizio di controllo ai valichi di frontiera, che avveniva puntualmente. Agli inizi degli anni Novanta, gli orari d’apertura della dogana di Arogno erano dalle 6 alle 24. Poi, il valico veniva chiuso fisicamente con una barriera dal lato svizzero e con un grande cancello da parte italiana. A creare grattacapi, come detto, era quel chilometro che separa tuttora le due dogane. «Al momento di chiudere la barriera a mezzanotte, un veicolo rischiava di rimanere tra le due dogane perché passando quella italiana non riuscivano a raggiungere in tempo quella svizzera o viceversa», racconta un collaboratore dell’UDSC che ha lavorato al valico di Arogno agli inizi degli anni ‘90. Che fare, quindi? Niente, solo mettersi il cuore in pace e aspettare la riapertura del valico alle 6. «Trovando la barriera abbassata – prosegue – è capitato che qualcuno passasse la notte in auto oppure che la lasciasse per poi raggiungere a piedi Lanzo d’Intelvi o Arogno. A quei tempi non c’era la possibilità di chiamare qualcuno perché nessun agente risiedeva nello stabile della dogana svizzera. Mi ricordo di almeno una decina di casi».

Nel Luganese, ma ancora di più nel Mendrisiotto, un tempo il presidio in dogana era statico e la presenza veniva assicurata in modo tempestivo, visto che il capoposto era obbligato a vivere nella sede in cui veniva assegnato. Ad Arogno, però, nessuno abitava in quella casa doganale. Allo stato attuale, tra Luganese e Mendrisiotto l’UDSC gestisce 24 immobili residenziali, per la maggior parte utilizzati da collaboratori dello stesso UDSC e da privati cittadini che vi abitano. Bene, ma se un immobile è inutilizzato, nel senso che non è presidiato, come quello di Arogno, perché non venderlo? Oppure – parliamo per pura ipotesi – cederlo al Comune di Arogno per farci un progetto e restituirlo alla comunità in un’altra veste? Domande che rimangono aperte, anche se per il momento «non è previsto alcun progetto per l’immobile in questione. La dismissione degli oggetti sottostà ad una priorizzazione ed è strettamente legata alla strategia operativa della Dogana Sud, in merito alla quale non possiamo scendere in dettagli», ci dice a precisa domanda l’UDSC.

«Tutto legale per gli svizzeri»

Digressioni a parte, il nostro interlocutore ci racconta un altro aneddoto, che riserva al suo interno una particolarità sempre legata al valico doganale di Arogno. E riguarda il contrabbando, ma con un aspetto un po’ diverso da quello a cui siamo abituati a pensare. «Alla fine degli anni ‘80 e inizio degli anni ‘90 ho potuto vedere gli ultimi veri spalloni, con tanto di bricolla di tela sulle spalle e bastone per aiutarsi durante l’arrampicata, che percorrevano i sentieri nei boschi sotto il monte Sighignola che da Arogno portavano a Lanzo d’Intelvi. Non trasportavano né sigarette né riso oppure caffè, ma pellicce grezze che poi venivano lavorate in Italia e prendevano la forma di capi d’abbigliamento. Per la dogana svizzera era tutto legale; infatti, l’esportatore si presentava in ufficio, dichiarava quanti capi sarebbero stati esportati e poi accompagnava una dozzina di spalloni in zona San Vitale/Arogno per poi partire con il carico verso Lanzo d’Intelvi». Altro che sigarette, arance, accendini, telefonini, videoregistratori e acqua minerale.

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