Oliviero Toscani, 23 anni fa, nell'inferno del San Gottardo
C'è un (triste) ricordo che lega Oliviero Toscani al Ticino. Il noto fotografo – morto oggi – fu infatti testimone diretto del gravissimo incidente di 23 anni fa nel San Gottardo. Una vera e propria tragedia. Alle 9.39 del 24 ottobre 2001 la galleria autostradale fu teatro di uno scontro fra due camion dalle conseguenze devastanti. L’impatto, avvenuto ad appena un chilometro dall’imbocco di Airolo, provocò l’esplosione di un serbatoio: i veicoli presero fuoco e undici persone persero la vita.
«Ero nell'inferno del tunnel» titola un articolo di Oliviero Toscani pubblicato su Repubblica il 30 ottobre 2001. Il fotografo, a qualche giorno dalla tragedia, ha raccontato quel terribile mercoledì mattina. La sua auto si trovava proprio dietro al camion che causò l'incidente. La sera prima aveva cenato in compagnia della moglie Kirsti (Moseng) «in un piccolo ristorante di Lugano». Giovedì, il fotografo avrebbe dovuto essere a Parigi per un impegno di lavoro importante. «E proprio durante la cena, avevamo deciso di fare un colpo di testa, di concederci una vacanza speciale, di lusso: andare a Parigi in macchina. Fermarci appena dopo Basilea alla chiesa di Ronchamp, di Le Corbusier, che non vedevo da 20 anni; e poi un ristorantino a tre stelle, una passeggiata noi due soli. Insomma una roba romantica».
Era iniziata come «una giornata perfetta»
È mercoledì mattina. «Una giornata perfetta. Il cielo blu, terso, pulito come può esserlo, a volte, solo in Svizzera». Alle 8.30 Oliviero Toscani e la moglie sono in auto. «L'idea è di togliere la capotina alla Porsche gialla al primo distributore per fare il passo del Gottardo dalla parte di sopra. Niente tunnel. Come facevo da ragazzo, quando studiavo in Svizzera e salivo su con la moto». Ma il fotografo sbaglia l'uscita. «Mi trovo d'improvviso con la grande bocca nera del tunnel spalancata davanti a noi: una visione spaventosa. Non solo per quel senso di smarrimento che coglie quando ci si trova di fronte a qualcosa che non avevi previsto, ad un tuo errore. Ma per quel dover affrontare su una un'auto scoperta la galleria. Kirsti si mette le mani sul naso per cercare, come può, di non respirare i veleni dei tubi di scappamento. Io rallento. Davanti a me c'è un camion. "Meglio tenersi a una buona distanza per non morire asfissiati e fermarsi alla prima piazzola per tirar su la capote", penso. Ce l'ho a 70-80 metri di distanza adesso, il camion. "Che strano..." mi dico "è come se sbandasse un po'... O l'autista ha sonno, o è ubriaco, o..."».
«Qui esplode tutto»
Toscani e sua moglie assistono a tutta la scena. Prima il camion sbanda sulla destra, poi torna tra le righe. Ma si sposta di nuovo, picchia contro la parete della galleria e invade la corsia di senso opposto. Quando urta un tir, è la freddezza di Kirsti a fare la differenza. Lei, «che a differenza di me sa per sua fortuna di essere mortale, grida subito: "Via, via di qui, Oliviero gira l'auto... qui esplode tutto...". E se esplode è come essere in una canna di fucile. Se esplode è finita. Due manovre. L'auto piccola, maneggevole, si gira su stessa. E mentre corriamo verso l'uscita del tunnel, mentre percorriamo a tutta velocità, in senso opposto, quel chilometro che ci separa dalla luce, facciamo segni con le braccia agli automobilisti incolonnati dietro di noi; lampeggio, urlo: "Via via andate via..."».
È sempre Kirsti, appena fuori, a piazzarsi in mezzo alla strada per impedire alle auto di imboccare la galleria. Oliviero, nel frattempo, avvisa la polizia. «Dopo poco, dal tunnel esce una Audi blu. Sopra c'è l'autista del tir italiano. È bianco come un cencio. Aveva cominciato a correre da solo nella galleria e la macchina che era subito dopo la mia, l'aveva raccolto».
«Era come se dalla montagna uscisse un respiro di morte»
«La nostra fortuna era stata quella di essere la prima auto dopo il camion, questo pensavamo mentre in silenzio ci rimettevamo in viaggio verso Parigi», conclude nel suo racconto il fotografo. «Parigi. Doveva essere un viaggio così diverso da quello che ora stavamo facendo salendo su per il passo. Lentamente. Dalle bocche d'aria del Gottardo, usciva fuori un fumo nero, denso. Era come se dalla montagna uscisse un respiro di morte. Poi avremmo ascoltato i bollettini via radio. Poi avremmo chiamato la polizia dicendo: "Noi siamo quelli della Porsche gialla, i primi testimoni dell'incidente". Poi... Adesso no. [...] Adesso la capote dell'auto era tirata su e noi ci trovavamo di nuovo al coperto, di nuovo al sicuro. Il cielo era diventato bianco di colpo. Nessuno spicchio di blu. Pioveva. Faceva improvvisamente freddo. Nuvole. Fumo nero dalla montagna. Ed è stata la prima volta, quest'anno, che ho visto l'autunno».