«Pene talmente esigue da risultare offensive per le vittime»
«Bisogna interrogarsi sull’adeguatezza di pene tanto esigue da risultare offensive nei confronti delle vittime. La Corte si è dovuta quindi attenere, seppur in modo insoddisfacente, alle norme che regolano il diritto penale minorile». Ruotano tutte intorno a questa frase, pronunciata dal giudice Amos Pagnamenta durante la lettura della sentenza, le motivazioni che hanno portato alla condanna a due anni e mezzo il 20.enne comparso alla sbarra martedì per aver abusato, nel corso degli anni, della sorella minore e dell’amica tra le mura domestiche.
Sì, perché gli «atti più odiosi, che violano la sfera dell’individuo e un sano sviluppo sessuale», sono stati commessi quando il giovane era minorenne. Per questi fatti gli è stata comminata una pena di un anno – «imbarazzantemente bassa», secondo la Corte –, ma il massimo previsto dal diritto minorile. Da maggiorenne, invece, l’imputato si è macchiato di toccamenti ai danni della sorellina (rappresentata dall’avvocata Letizia Vezzoni), dell’amica (patrocinata dall’avvocato Andrea Cantaluppi) e di una cugina. «Sono gesti inammissibili, ma rientrano tra gli atti meno invasivi dei reati che violano l’integrità sessuale». Per questi fatti, la Corte gli ha inflitto diciotto mesi. In totale, come detto, l’imputato è stato condannato a due anni e mezzo oltre al collocamento del giovane in una struttura chiusa «così da fornire anche un grado di sicurezza per la collettività visto il rischio di recidiva». In aggiunta, è stato interdetto a vita dallo svolgere attività che contemplano contatti con minori. «Già da minorenne si è contraddistinto da estremo egoismo. E ciò appare ancora più grave dato che una delle vittime era sua sorella, che doveva guardarlo come un esempio da seguire e non come un carnefice».
Infanzia violata
La Corte è stata chiamata a giudicare un incarto difficile e delicato sotto tutti i punti di vista. Un caso che racconta del diritto all’infanzia messo in pericolo proprio in quel luogo, il primo, in cui dovrebbe essere garantito, protetto ed esercitato liberamente: le mura di casa. Il giovane, residente a sud del ponte diga di Melide, ha iniziato a rivolgere attenzioni particolari alla sorella minore quando aveva dodici anni. Lei, invece, ne aveva sei. Dagli strusciamenti si è poi passati, con il tempo, alla congiunzione carnale. Attenzioni, queste, rivolte anche all’amica della sorella che frequentava l’abitazione della famiglia. «Non riuscivo a contenere il mio stimolo sessuale», dirà in aula il giovane assumendosi in toto colpe e responsabilità. Lungo l’elenco di episodi accaduti e riportati durante il dibattimento, accentuatisi tra i 16 e i 17 anni e poi diminuiti d’intensità (e di gravità) con il passaggio dell’imputato alla maggiore età. Una lista in cui figurano anche strusciamenti rivolti a una cugina e commessi quando il giovane si recava in visita oltre confine. Le parti – la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo e la legale del 20.enne, l’avvocata Sandra Xavier – sono sempre state concordi su due aspetti: il primo, «il senso d’orrore dell’atto d’accusa». Il secondo, il giovane ha bisogno di aiuto e deve essere sottoposto a un trattamento, in virtù anche del fatto che una perizia psichiatrica ha ravvisato un disturbo della personalità.