Gran Consiglio

Pubblicità sessiste, libertà d'espressione o di diffondere odio?

Bocciata dal Parlamento la proposta di vietare in Ticino l’affissione di réclame discriminatorie – Il plenum si è spaccato in due, tra chi ritiene l’intervento censorio ed eccessivo e chi, invece, una necessità per porre le basi di una società più equa e rispettosa del prossimo
©Chiara Zocchetti
Paolo Gianinazzi
21.01.2025 23:30

Il tema, pareva ovvio del principio, era di quelli destinati a far discutere. E così è stato. Oggi in Gran Consiglio la proposta di vietare le pubblicità sessiste (giunta tramite un’iniziativa dei Verdi e una mozione dell’MPS) ha acceso il dibattito e spaccato in due l’aula.

Al centro, una domanda tutto fuorché scontata: quel divieto rappresenterebbe una censura alla nostra libertà d’espressione, oppure un passo avanti verso una società più giusta? Alla fine, come vedremo, il plenum ha optato per la prima risposta e con 44 voti a 22 (e due astenuti) ha deciso di non introdurre un simile divieto nel nostro cantone. Non prima, però, di essersi confrontato a lungo sulla questione.

Una domanda non scontata

Come da programma, i primi a intervenire sono stati i promotori del divieto. Giulia Petralli (Verdi), nel presentare l’iniziativa ha innanzitutto ricordato «l’enorme potere delle pubblicità nel modellare la percezione che le persone hanno di sé e degli altri». Un enorme potere che, attraverso «messaggi che tramandano le ineguaglianze e alimentano i pregiudizi» altro non fa che «alimentare fenomeni di violenza» e la stessa violenza di genere. Ecco perché, in sintesi, «è legittimo chiedere che questo tipo di pubblicità venga vietato». Anche perché, ha aggiunto, essenzialmente in Ticino gli strumenti a disposizione non sono sufficienti.

Sulla stessa linea anche il mozionante, Matteo Pronzini (MPS), secondo cui «attualmente le possibilità di intervento sono quasi inesistenti». E dunque, vietare le pubblicità sessiste equivale a «gettare un piccolo seme per promuovere la cultura del rispetto». Certo, ha ammesso, «non basterà questa misura per combattere la violenza contro le donne, ma è importante dare un segnale chiaro contro la diffusione di un certo tipo di messaggi».

Una visione ben diversa l’ha poi fornita la relatrice del rapporto di maggioranza, la deputata UDC Lara Filippini, contraria al divieto. Portando una serie di esempi pratici (con pubblicità che hanno fatto discutere in passato per il loro contenuto) Filippini ha voluto mostrare «l’incoerenza di chi vorrebbe un impianto censorio per educarci su che cosa è giusto e cosa non lo è». E questo, in sintesi, poiché alcune pubblicità potrebbero essere considerate sessiste da una parte della società, ma progressiste dall’altra, a seconda della propria ideologia, sensibilità o visione del mondo. Decidere quale pubblicità sia da vietare oppure no sarebbe dunque un esercizio puramente soggettivo. Al di là di ciò, la deputata ha pure ricordato che tale divieto avrebbe effetto solo per la cartellonistica, dimenticando le pubblicità, ad esempio, sui social media. Ma soprattutto, ha chiosato Filippini, «i problemi dei ticinesi sono ben altri».

A rispondere, poco dopo, è stata la relatrice di minoranza, la deputata socialista Lisa Boscolo. «La libertà d’espressione è un valore fondamentale», ha affermato. «Ma non può essere un pretesto per tollerare messaggi che degradano e discriminano». In sostanza, quindi, «tollerare un’immagine che banalizza un femminicidio (ndr. anni fa la pubblicità di un noto marchio di lusso con contenuti di questo tipo fece discutere in Ticino) non rappresenta la libertà d’espressione, bensì la libertà di propagare l’odio». Ecco perché, secondo Boscolo, «mettere dei limiti oggettivi a queste pubblicità è un passo concreto verso una società più equa». Un passo necessario per ribadire che «la dignità umana vale più di un prodotto in vendita».

Al centro dello scacchiere, PLR e Centro – con i deputati Gabriele Ponti e Alessandro Corti – hanno essenzialmente ribadito che le norme attualmente in vigore sono sufficienti. Il riferimento va alla Legge sugli impianti pubblicitari (la quale stabilisce, in sintesi, che ogni cittadino può chiedere la rimozione della pubblicità qualora non sia conforme alla moralità pubblica) e alla possibilità di segnalare contenuti non appropriati alla Commissione svizzera per la lealtà (che però non può sanzionare). Strumenti che, come detto, sono ritenuti insufficienti dai promotori del divieto, i quali chiedevano di fare un passo in più.

Ad ogni modo, alla fine a spuntarla è stato il rapporto di maggioranza sostenuto da PLR, Centro, Lega, UDC, Avanti con T&L e HelvEthica (contrari PS, Verdi, MPS, PC, Più Donne e PVL). In Ticino, dunque, niente divieto di pubblicità sessiste.

Energie rinnovabili, avanti così

Oggi in Gran Consiglio si è parlato anche di ambiente e salvaguardia del clima. Il Fondo per le energie rinnovabili (FER), da tutti definito come «uno strumento fondamentale per perseguire gli importanti obiettivi della politica climatica cantonale», è infatti stato rinnovato per il prossimo quadriennio, ossia fino alla fine del 2028. Si tratta, in estrema sintesi, di quel fondo che - tramite i prelievi sul consumo di energia (ossia le nostre bollette) e la produzione da fonti fossili di AET, ovvero la partecipazione nella centrale a carbone di Lünen - permette di incentivare e sussidiare la produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare il fotovoltaico. Non a caso, il Governo nel suo messaggio ha ricordato che «questo sostegno finanziario ha contribuito in modo determinante all’installazione a livello cantonale di 12.479 impianti fotovoltaici (dato al 31.12.2023) (...), corrispondente a circa il 7,9% del consumo di elettricità». Ora, come detto in Gran Consiglio pressoché tutte le forze politiche erano concordi sull’importanza di questo strumento. Tuttavia, in aula sono giunti due rapporti commissionali. Sì, perché mentre la maggioranza ha proposto di lasciare il livello dei prelievi che alimentano il fondo così com’è oggi, i Verdi hanno proposto un moderato aumento. Ritocco verso l’alto dei prelievi che, come spiegato dal relatore Matteo Buzzi (Verdi), per un’economia domestica sarebbe valso dai 5 ai 20 franchi annui. Dunque, a mente della minoranza, «più che sopportabile per la cittadinanza». La richiesta di aumentare i prelievi, ha poi spiegato Buzzi, non è nata dal nulla. Ma dal fatto che lo stesso fondo, in questi anni, è sempre più sotto pressione per via dell’aumento di richieste di sussidi per il fotovoltaico. Essenzialmente, negli ultimi anni le entrate del fondo sono state inferiori alle uscite. E quindi la riserva del fondo si sta pian piano esaurendo. Motivo per cui, appunto, i Verdi hanno proposto di aumentare i prelievi al fine di «poter mantenere l’attuale velocità di crociera con l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici» e perseguire così gli ambiziosi obiettivi del Piano energetico e climatico cantonale. Detto in parole povere: avanti di questo passo, secondo la minoranza, ci troveremmo presto con un fondo senza i soldi necessari per completare la transizione energetica. Di avviso diverso, va da sé, la maggioranza della Commissione ambiente, territorio ed energia. Con il rapporto di Alessandro Cedraschi (PLR), come detto, è stato proposto di non modificare il livello dei prelievi. Come rilevato dal deputato Michel Tricarico (Centro) «la riserva del fondo (ndr. di circa 28 milioni di franchi) permette di far fronte nei prossimi anni ad eventuali maggiori richieste di incentivi». E dunque «procedere già oggi ad un aumento dei prelievi, seppur minimi, appare prematuro e poco comprensibile per la popolazione, che in questi anni ha già affrontato aumenti di prezzo dell’energia». Stesso avviso anche per il Governo. Il consigliere di Stato Christian Vitta ha infatti chiesto al plenum di confermare l’attuale livello dei prelievi ed «evitare un inutile aumento dei costi energetici a carico dei cittadini e di AET». Alla fine, con 44 voti a 29 ha prevalso lo status quo. Insomma, il livello dei prelievi resterà quello attuale. Da segnalare, oltre a ciò, che il plenum ha pure modificato la Legge cantonale sull’energia per permettere in futuro di incentivare tramite questo fondo l’utilizzo delle batterie per l’accumulo di energia anche al di fuori delle attività dei Comuni. Come dire: se queste tecnologie, sempre più presenti, prima erano sussidiate solo per progetti avanzati dagli Enti locali, ora potranno esserlo anche in ambito privato.