Pubblicità sessiste, libertà d'espressione o di diffondere odio?
Il tema, pareva ovvio del principio, era di quelli destinati a far discutere. E così è stato. Oggi in Gran Consiglio la proposta di vietare le pubblicità sessiste (giunta tramite un’iniziativa dei Verdi e una mozione dell’MPS) ha acceso il dibattito e spaccato in due l’aula.
Al centro, una domanda tutto fuorché scontata: quel divieto rappresenterebbe una censura alla nostra libertà d’espressione, oppure un passo avanti verso una società più giusta? Alla fine, come vedremo, il plenum ha optato per la prima risposta e con 44 voti a 22 (e due astenuti) ha deciso di non introdurre un simile divieto nel nostro cantone. Non prima, però, di essersi confrontato a lungo sulla questione.
Una domanda non scontata
Come da programma, i primi a intervenire sono stati i promotori del divieto. Giulia Petralli (Verdi), nel presentare l’iniziativa ha innanzitutto ricordato «l’enorme potere delle pubblicità nel modellare la percezione che le persone hanno di sé e degli altri». Un enorme potere che, attraverso «messaggi che tramandano le ineguaglianze e alimentano i pregiudizi» altro non fa che «alimentare fenomeni di violenza» e la stessa violenza di genere. Ecco perché, in sintesi, «è legittimo chiedere che questo tipo di pubblicità venga vietato». Anche perché, ha aggiunto, essenzialmente in Ticino gli strumenti a disposizione non sono sufficienti.
Sulla stessa linea anche il mozionante, Matteo Pronzini (MPS), secondo cui «attualmente le possibilità di intervento sono quasi inesistenti». E dunque, vietare le pubblicità sessiste equivale a «gettare un piccolo seme per promuovere la cultura del rispetto». Certo, ha ammesso, «non basterà questa misura per combattere la violenza contro le donne, ma è importante dare un segnale chiaro contro la diffusione di un certo tipo di messaggi».
Una visione ben diversa l’ha poi fornita la relatrice del rapporto di maggioranza, la deputata UDC Lara Filippini, contraria al divieto. Portando una serie di esempi pratici (con pubblicità che hanno fatto discutere in passato per il loro contenuto) Filippini ha voluto mostrare «l’incoerenza di chi vorrebbe un impianto censorio per educarci su che cosa è giusto e cosa non lo è». E questo, in sintesi, poiché alcune pubblicità potrebbero essere considerate sessiste da una parte della società, ma progressiste dall’altra, a seconda della propria ideologia, sensibilità o visione del mondo. Decidere quale pubblicità sia da vietare oppure no sarebbe dunque un esercizio puramente soggettivo. Al di là di ciò, la deputata ha pure ricordato che tale divieto avrebbe effetto solo per la cartellonistica, dimenticando le pubblicità, ad esempio, sui social media. Ma soprattutto, ha chiosato Filippini, «i problemi dei ticinesi sono ben altri».
A rispondere, poco dopo, è stata la relatrice di minoranza, la deputata socialista Lisa Boscolo. «La libertà d’espressione è un valore fondamentale», ha affermato. «Ma non può essere un pretesto per tollerare messaggi che degradano e discriminano». In sostanza, quindi, «tollerare un’immagine che banalizza un femminicidio (ndr. anni fa la pubblicità di un noto marchio di lusso con contenuti di questo tipo fece discutere in Ticino) non rappresenta la libertà d’espressione, bensì la libertà di propagare l’odio». Ecco perché, secondo Boscolo, «mettere dei limiti oggettivi a queste pubblicità è un passo concreto verso una società più equa». Un passo necessario per ribadire che «la dignità umana vale più di un prodotto in vendita».
Al centro dello scacchiere, PLR e Centro – con i deputati Gabriele Ponti e Alessandro Corti – hanno essenzialmente ribadito che le norme attualmente in vigore sono sufficienti. Il riferimento va alla Legge sugli impianti pubblicitari (la quale stabilisce, in sintesi, che ogni cittadino può chiedere la rimozione della pubblicità qualora non sia conforme alla moralità pubblica) e alla possibilità di segnalare contenuti non appropriati alla Commissione svizzera per la lealtà (che però non può sanzionare). Strumenti che, come detto, sono ritenuti insufficienti dai promotori del divieto, i quali chiedevano di fare un passo in più.
Ad ogni modo, alla fine a spuntarla è stato il rapporto di maggioranza sostenuto da PLR, Centro, Lega, UDC, Avanti con T&L e HelvEthica (contrari PS, Verdi, MPS, PC, Più Donne e PVL). In Ticino, dunque, niente divieto di pubblicità sessiste.