Il reportage

Tra binari divelti e vagoni rovesciati si cerca la luce in fondo al tunnel

Viaggio sul luogo dell'incidente nella galleria di base del San Gottardo
© KEYSTONE / URS FLUEELER
Giona Carcano
06.09.2023 20:30

Il grande portone giallo che dà accesso alla stazione multifunzionale di Faido si chiude dietro al piccolo bus. Davanti a noi, un tunnel in discesa che pare non avere una fine. Siamo nel cunicolo di accesso che si «aggancia», dopo 2,5 chilometri, al tunnel di base del San Gottardo. È lì sotto che, alle 12.48 del 10 agosto, un treno merci diretto a nord è deragliato.

A Polmengo, poco dopo Faido, scorrono due arterie della rete di trasporto svizzera. In alto, oltre la Cantonale, si vede il rumoroso viadotto dell’autostrada. Poco sopra l’entrata in cemento armato della stazione multifunzionale FFS, invece, scorre la vecchia linea ferroviaria del San Gottardo. Sembra messa lì a memoria di tempi eroici oramai superati dalla modernità. Come fosse un simbolo da ammirare, un pezzo da museo. Già. Chi avrebbe mai detto che quella vecchia tratta sarebbe diventata vitale ancora una volta? Eppure, meno di un mese fa, è successo davvero.

La sicurezza

Una volta percorso il cunicolo di accesso, arriviamo al tunnel di emergenza. È profondo 350 metri rispetto a dove eravamo poco prima, a Faido. L’autista fa un’inversione a U prima di parcheggiare. Il muso del bus è rivolto verso l’uscita. «Sono misure di sicurezza», ci viene spiegato. In caso di incendio, il mezzo sarebbe pronto a partire immediatamente. A proposito di sicurezza, nulla viene lasciato al caso. Le FFS, che per la prima volta hanno consentito ai giornalisti di visitare il luogo del deragliamento, hanno standard elevatissimi. Chiunque scenda là sotto, nel cuore della montagna, deve indossare scarponi, tuta arancione, elmetto, occhiali protettivi, mascherina FFP3, guanti antitaglio e lampada frontale. Ma non basta ancora. A tutti è stato fornito anche un ingombrante respiratore d’emergenza e un localizzatore.

Il caldo

Quando scendiamo dal bus, percorriamo pochi passi e ci troviamo di fronte un altro portone giallo. Da lì sono appena usciti due operai, intabarrati esattamente come noi. Fa molto caldo, la temperatura si aggira sui 35-40 gradi. Una persona afferra la grande maniglia e apre il portone. Subito veniamo investiti da una corrente di aria ancora più calda. «Il cunicolo d’emergenza viene mantenuto a una pressione diversa rispetto alle due canne principali», spiegano le guide. In questo modo, in caso di incendio, il fumo non potrebbe invadere la zona di evacuazione.

Ecco. Siamo dentro la galleria di base del San Gottardo. Ora si tratta di raggiungere a piedi il luogo del disastro. Camminiamo in fila indiana sulla banchina in cemento armato, nella penombra. Subito fiancheggiamo un treno di servizio fermo. In un vagone sono stipati uno sopra l’altro diversi binari. Dopo qualche metro ancora, capiamo perché: sul fondo della galleria, infatti, cominciamo a intravedere i danni. Ci sono alcuni portelli di metallo contenenti fili elettrici divelti, strappati via. Più ci si avvicina al treno deragliato, e più i danni all’impianto ferroviario si fanno importanti. Poi, a un certo punto, lo scenario cambia: i binari con le traversine di cemento non esistono più. Al loro posto, ci sono gli stessi binari che avevamo visto poco prima sul vagone di servizio. È qui che il treno merci con la ruota difettosa ha iniziato a cedere completamente, portandosi dietro tutta la tecnica ferroviaria. Sono quindi stati posati binari provvisori, che consentono ai treni di servizio di avvicinarsi al sito dell’incidente. «Circolava a circa 100 chilometri orari, una velocità standard in questo tratto», ci dicono. «Da qui in poi, deragliando, ha spazzato via tutto». Lungo i binari della canna Ovest, così come sulla banchina, si trovano ancora molti oggetti. Pacchi di pasta, tappi di barattoli di sottaceti e pelati, vetri, lattine di fagioli, riso. «Il grosso del materiale è già stato portato fuori, ma qualcosa è rimasto». Oltre alle derrate alimentari, più avanti, ci sono pezzi di cemento armato sparsi un po’ dappertutto e binari contorti. Finalmente, riusciamo a scorgere in lontananza i primi vagoni deragliati, riversi su un fianco contro una parete della galleria.

Sono fatti a pezzi

L’incidente è capitato alla stazione multifunzionale di Faido, una delle due fermate d’emergenza del traforo (l’altra è a Sedrun) che permettono anche ai treni di spostarsi da una canna all’altra. Si tratta di un’enorme caverna di cemento armato. Ed è proprio lì che il treno merci ha terminato la sua corsa. La parte anteriore del convoglio, quella con le due locomotive, si è infilata regolarmente nella canna in direzione Nord. Un’altra parte, invece, no. All’altezza dello scambio ad alta velocità si è staccata e ha imboccato la canna posta sulla destra. I vagoni si sono schiantati contro l’ormai famosa porta tagliafuoco gialla, l’enorme portellone che impedisce all’aria presente nelle canne di mischiarsi. «Al momento, sono presenti nella canna Est ancora 8 vagoni dei 16 deragliati», ci dice Thomas Gut, responsabile Life Cycle Management e manutenzione Asse del San Gottardo FFS Infrastruttura. Là in fondo vediamo gli operai. Sono al lavoro da settimane, a una temperatura elevatissima. Visto lo stato del convoglio, i tecnici non hanno potuto che optare per una scelta: tagliare a pezzi i vagoni, uno dopo l’altro, e portarli fuori, oltre il portale Sud di Biasca.

Al momento sono ancora presenti 8 carri deragliati. Contiamo di portarli via tutti entro fine settembre
Thomas Gut, responsabile manutenzione

I rumori

Lungo quella che prima del deragliamento era una banchina posta in mezzo ai due binari di scambio, riusciamo a vedere tre o quattro carri. Alcuni sono rovesciati, altri invece si infilano nel tunnel di collegamento e spariscono dalla nostra vista, nel buio. Stamane, gli operai stavano demolendo i carri rimasti attaccati alle due locomotive. «Sul sito lavorano dalle 50 alle 100 persone, divise in due squadre da otto ore a turno, 7 giorni su 7», riattacca Gut. «La sicurezza degli operai viene prima di qualsiasi cosa. Oltre all’equipaggiamento, ogni 45 minuti devono fermarsi per una pausa di un quarto d’ora, da trascorrere in un locale climatizzato». Il pensiero va subito alle lance ossidriche utilizzate per fare a pezzi i vagoni. Il caldo deve essere davvero intenso. Enormi bombole di gas sono stipate all’interno del cunicolo. Sentiamo rumori di martelli e di motoseghe, che sovrastano il baccano costante prodotto dalla ventilazione. «I vagoni devono prima di tutto essere stabilizzati, affinché non si muovano durante i lavori di demolizione», spiega ancora Gut. I carri sono stati assicurati con assi di legno e ponteggi da personale specializzato. «Le condizioni di lavoro sono dure, sì. Il caldo rende tutto più difficile. Per questo si fanno molte pause. Il piano di protezione è concordato con la SUVA e viene controllato regolarmente. Inoltre, dobbiamo continuare a garantire la manutenzione ordinaria della canna Est».

La prima fase

L’obiettivo, ci viene spiegato, è completare lo sgombero dei carri rimanenti. Ventidue sono già stati portati via, così come le due locomotive. «A fine settembre, questa fase verrà terminata». Nessuno, però, se la sente di fare previsioni sulla riapertura completa. Passeranno ancora mesi prima di riavere interamente in funzione entrambi i tunnel. E in effetti, la parte danneggiata è davvero imponente. Potenzialmente, sono 20.000 le traverse da sostituire, lungo 7 chilometri di binari danneggiati, così come due scambi ad alta velocità e il portone tagliafuoco. Una volta fatto a pezzi l’ultimo vagone, si tratterà di iniziare i lavori di riparazione. «Bisognerà anche capire esattamente l’entità dei danni», commenta Peter Kummer, responsabile FFS Infrastruttura. «La riapertura completa del tunnel, nella migliore delle ipotesi, è stimata a inizio 2024. A dipendenza di come evolverà la situazione, potrebbe volerci più tempo».

Al momento non è possibile quantificare l'entità dei danni: ci vorrà tempo
Peter Kummer, responsabile FFS Infrastruttura

Corsa contro il tempo

Il viaggo all’interno della montagna sta finendo. Bisogna lasciare campo libero agli operai. Torniamo su, verso la luce, e respiriamo di nuovo l’aria della Leventina. Mentre ci si cambia, c’è ancora spazio per alcuni commenti. «La famosa porta tagliafuoco gialla? Pensate, un vagone è praticamente riuscito ad attraversarla durante il deragliamento», osserva ancora Gut. «Ora è stata sostituita da un altro portone, che utilizzavamo per la manutenzione». Le FFS hanno già commissionato un portone nuovo, «da una ditta del Liechtenstein». Ma prima di riceverlo, passeranno dieci mesi. «La collaborazione con i fornitori è davvero ottima. Si sono attivati per aiutarci, perché non disponiamo di tutti i pezzi di ricambio. E vorrei ringraziare anche gli operai e i tecnici che si stanno adoperando per rimettere completamente in funzione il tunnel», conclude Gut. Sì, perché come ripetono alla stazione multifunzionale di Faido, «ogni giorno conta».

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