Truffa del vino, chieste condanne fra uno e quattro anni
L’ha detto anche Angelo Gaja, celebre proprietario dell’omonima azienda vinicola piemontese, alla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti: «È un vino buono, ma banale. E anche le bottiglie sono veramente fatte bene». Vino buono, ma spacciato per quello che non era. Prodotto da un’enologo dell’astigiano, è stato rivenduto in Svizzera e Germania sotto i marchi (contraffatti) Gaja e Terre dei Pola. Parliamo di un’enormità di bottiglie piazzate sul solo territorio nazionale: Oltre sessantamila, a cui ne vanno aggiunte altre diecimila e rotti di falso Tignanello (marchio Antinori), per un indebito profitto stimato in 1,5 milioni di franchi fra il 2016 e il 2018. Fulcro della vicenda, un’azienda di Lugano e le persone che vi avevano a che fare: cinque sono apparse in aula oggi(due erano in realtà assenti giustificate), una sesta lo farà settimana prossima, una settima è nel frattempo deceduta e un’ottava è da tempo riparata in Italia. Nella Penisola, peraltro, è pure in corso un processo per la rispettiva parte di competenza, che riguarda pure i cinque «ticinesi».
Le richieste di pena
E se in Italia si guarda più alla contraffazione dei vini, l’inchiesta luganese si concentra sul suo smercio, e l’ipotesi principale per i cinque imputati è di correità o complicità in truffa aggravata. Si tratta di un 64.enne del Mendrisiotto che la procuratrice Rigamonti ritiene essere il principale promotore della truffa e per cui ha chiesto la condanna a quattro anni di carcere; un 68.enne del Luganese gerente della società che avrebbe chiuso più di un occhio (2 anni e 4 mesi parzialmente sospesi), un 54.enne napoletano residente nel Luganese che si sarebbe occupato del «packaging» contraffatto (2 anni e 8 mesi parzialmente sospesi), suo figlio 29.enne (un anno sospeso) e un 62.enne del Luganese che avrebbe finanziato parte della truffa (tre anni).
Le difese prenderanno la parola domani ma a grandi linee le posizioni degli imputati sono già emerse oggi. Il «domus» è parzialmente reo confesso (contesta soprattutto l’accusa di aver sottratto alla società 350.000 franchi usati per scopi personali ), e così il 54.enne. Gli altri tre chiederanno invece di essere assolti, in quanto affermano di non aver saputo che il vino che trattavano era contraffatto. Interessante in questo senso è in particolare il caso del 62.enne, che è già stato prosciolto nel processo italiano dall’accusa di aver contraffatto il vino. Costui è infatti stato chiamato in causa dal domus e dal napoletano, ma per il giudice italiano queste chiamate in correità erano interessate e non fattuali. Di diverso avviso la procuratrice Rigamonti, che ha ricordato come esse siano state fatte indipendentemente e come altre due persone - pure indipendentemente - abbiano detto del coinvolgimento del 62.enne nella faccenda.