Il caso

Uber abbraccia l'intero Ticino: ma sarà un bene o un male per il mercato?

Ne parliamo con il docente-ricercatore SUPSI Niccolò Cuppini e con l'esperto di trasporti e docente universitario Andrea Giuricin – Syndicom: «Prenderemo informazioni»
©Gabriele Putzu

Sembrava una cosa lontanissima, un concetto legato a film e serie televisive o, al massimo, a città dal respiro davvero internazionale. E invece no, Uber è qui. Sotto casa, nel vero senso della parola. Dopo essere sbarcata a Lugano, lo scorso agosto, la piattaforma ha deciso di estendere i propri servizi all’intero Ticino. Chiunque necessitasse di un taxi al di fuori del Luganese, insomma, potrà sfoderare la frase a effetto: «E se chiamassi un Uber?». Già, l’alternativa alla tradizione. Che tanto affascina, per i suoi possibili risvolti positivi in termini di offerta e ricadute economiche, ma che tanto spaventa, visto il passato, anche recente, fatto di critiche, polemiche e cause legali. Una, in particolare, la ricordano tutti: intentata dal Canton Ginevra, ha costretto l’azienda a versare 3,8 milioni di franchi a mo’ di risarcimento. Tempo fa, proprio Uber a precisa domanda («ma i contributi sociali li versate o no?») aveva risposto: «Uber è un intermediario e non assume gli autisti che utilizzano l’app Uber. Inoltre, non richiede alcuna esclusività né impone obblighi di uso agli autisti. Questi sono liberi di utilizzare l’app con la frequenza che desiderano, di utilizzare altre app o di dedicarsi ad altre attività. Come distributore di corse, collaboriamo a Lugano con autisti professionisti di taxi e operatori di noleggio con conducente, sia indipendenti sia impiegati da aziende di trasporto locale». Gli autisti indipendenti, aveva aggiunto Uber, «in virtù del loro status sono responsabili del rispetto dei vari obblighi inerenti al lavoro autonomo, compresa la previdenza sociale. Poiché la maggior parte di loro opera come autista professionista autonomo da molti anni, questi autisti sono ben consapevoli degli obblighi legali che comporta l’attività». E ancora: «Per gli autisti che sono impiegati da società di taxi o di trasporto locali, il datore di lavoro è responsabile degli oneri sociali e delle prestazioni».

Le tre fasi delle piattaforme

Docente-ricercatore SUPSI, attivo presso il Centro competenze lavoro, welfare e società, Niccolò Cuppini prova a inquadrare il fenomeno Uber alle nostre latitudini: «La costante, quando parliamo di piattaforme come questa, è che Uber e altri attori vivono di fasi diverse. Sarà, quindi, molto interessante dal mio punto di vista di ricercatore vedere che cosa succederà in Ticino». Inizialmente, prosegue il nostro interlocutore, queste piattaforme attraggono soprattutto giovani e studenti a caccia di un impiego. «E questo perché l’offerta, tendenzialmente, è abbastanza interessante: si presenta come flessibile, nel senso positivo del termine, permettendo alla lavoratrice o al lavoratore di scegliere quando lavorare. E le paghe, addirittura, sono in genere buone, superiori perfino a servizi analoghi».

Superata la prima fase, Uber e simili piano piano si modellano sul contesto locale. «Il servizio inizia a farsi un po’ più rigido, nel senso che dall’economia del lavoretto, basata sull’idea di integrare un salario o di guadagnare qualche soldo mentre si studia, si passa a una richiesta di continuità lavorativa». La terza fase, quantomeno in altre realtà europee, è quella che vede alternarsi al volante «una forza lavoro spesso marginalizzata, magari migrante». Una forza lavoro, certo, attratta dalla facilità di accesso alla piattaforma e dalle prospettive di guadagno, «ma in cambio di questa semplicità, sebbene in modo implicito, la stessa piattaforma ti costringe a rinunciare a molti diritti e a molte forme di protezione sociale». Il risultato? L’economia del lavoretto lascia appunto spazio a un lavoro vero e proprio, con gli autisti di Uber che finiscono per guidare tanto, troppo e senza i necessari cuscinetti sociali. «Va comunque detto che, in determinati contesti, penso alle economie più povere, Uber ha contribuito a far uscire dall’informalità molte persone».

Per il Ticino questa sarà una sfida interessante. Che potrebbe pure portare ricadute positive sul mondo del lavoro
Niccolò Cuppini, docente-ricercatore SUPSI

La posizione dei sindacati

Viene da chiedersi, al riguardo, se in Ticino le forze sindacali siano abbastanza presenti, e attente, per (diciamo così) contrastare lo strapotere e le capacità di persuasione di Uber. «Non saprei» conclude Cuppini. «L'arrivo di Uber in Ticino rappresenta un'opportunità, per sindacati e forze sociali, di immaginare nuove forme di intervento e tutela del lavoro in generale. Importante, in questo senso, sarà vigilare e accendere un campanello d’allarme di fronte a eventuali storture».

Syndicom, il sindacato che – stando al Tages-Anzeiger – lo scorso maggio aveva fatto un tentativo in solitaria per normalizzare i rapporti fra gli autisti e Uber a livello nazionale, da noi contattato conferma che l’arrivo in Ticino è stato in un qualche modo registrato: «Stiamo prendendo informazioni». Quanto allo status degli autisti, la posizione di Syndicom è chiara. Anzi, chiarissima: «Riteniamo che gli autisti di Uber debbano essere considerati dipendenti. La nostra posizione si basa sulla sentenza del Tribunale federale del 16 febbraio 2023, che deve essere applicata dalle autorità politiche, come è già successo per Uber Eats nel Canton Vaud, ad esempio. Prevediamo di prendere contatto con le autorità cantonali competenti per fare ulteriore chiarezza sulla questione».

Noi. E l’Italia…

E il mercato? Riformuliamo: e i consumatori? Sin qui, Uber si è detto soddisfatto della risposta dei luganesi. Lo sarà, immaginiamo, anche dei ticinesi che sceglieranno la piattaforma invece dei taxi normali. Con buona pace dei tassisti regolari e delle loro preoccupazioni. «Il punto importante – spiega Andrea Giuricin, amministratore delegato di TRA Consulting, docente universitario ed esperto di trasporti – è che l’apertura di questo mercato è positiva, perché dà maggiori opportunità ai turisti o agli stessi cittadini, senza dover dipendere semplicemente dal numero delle licenze. Sì, l’estensione di Uber è un bene per il Canton Ticino. L’Italia, per contro, purtroppo è ben distante da tutto questo. In Lombardia, ad esempio, ci sono 5.800 licenze taxi e un migliaio di licenze NCC (noleggio con conducente, ndr), che poi finiscono su piattaforme come Uber o Bolt. In Italia c’è proprio Uber, sì, ma di fatto il mercato è molto piccolo: la comunità di Madrid, che ha il 35% di abitanti in meno rispetto alla Lombardia, vanta 16 mila taxi e 9 mila NCC. Quindi, stiamo parlando di numeri completamente diversi: e tutta questa mancanza non fa bene al turismo, non fa bene a chi si deve spostare e non fa bene in ultima istanza alla mobilità. Il Ticino si è mosso bene, mentre oltreconfine questa apertura come detto è ancora distante».

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