Ticino

Un altro cartello capovolto: «Vogliamo essere rispettati»

Dopo Nante, Cerentino e Bosco Gurin, la protesta degli agricoltori ha fatto tappa anche a Personico: «L’ho fatto per dare un messaggio. Per solidarietà nei confronti degli altri agricoltori che in questo momento fanno fatica»
© CdT/Chiara Zocchetti
Martina Salvini
10.02.2024 06:00

Un cartello sottosopra ci accoglie a Personico. Dopo Nante, Cerentino e Bosco Gurin, la protesta degli agricoltori ha fatto tappa anche in questo piccolo comune della Leventina. A girare l’insegna, la notte scorsa, è stato un giovanissimo allevatore, Andrea C. «L’ho fatto per dare un messaggio. Per solidarietà nei confronti degli altri agricoltori che in questo momento fanno fatica», spiega quando ci accoglie nella sua azienda agricola. Ha rilevato l’attività di famiglia due anni fa, spinto dalla passione per il mondo animale. Un mondo che ha conosciuto bene fin da bambino. «Il primo è stato mio nonno: allevava pecore da carne, destinate quindi al macello. Io, invece, mi sono spostato sulla produzione di latte e di formaggio», racconta mentre ci mostra i suoi animali, 150 esemplari tra pecore e agnelli, alcuni dei quali nati appena qualche giorno fa. «La vedi quella pecora?», chiede indicando una delle più grosse. «Ha nove anni ed è stata acquistata da mio nonno, è ancora qui. Le conosco tutte, e loro conoscono me», dice orgoglioso. «Qui - prosegue - tutto è fatto per far stare gli animali il meglio possibile: hanno fieno sempre a disposizione, acqua riscaldata da una pompa. Nel periodo estivo mi piacerebbe anche portarne almeno la metà in alpeggio, lupo permettendo». Già, il lupo è solo uno dei problemi con cui il mondo agricolo deve fare i conti. «Il margine di guadagno si assottiglia sempre più. Ad esempio, il latte di mucca viene venduto a 48 centesimi al chilo, e conosco molti colleghi che stanno attraversando un periodo nero. Per mia fortuna, invece, il latte di pecora si aggira sui 2,80 franchi al chilo», racconta Andrea, a cui pesa soprattutto l’incertezza per il futuro. «Vorrei crescere, espandere la mia attività, ma al giorno d’oggi pensare di investire mi fa paura, perché non sappiamo cosa succederà, e il rischio di indebitarsi è troppo alto».

Una vocazione, come per i preti

Non è un caso, forse, che quando ha comunicato alla madre la volontà di rilevare l’attività di famiglia, lei abbia cercato di fargli cambiare idea. «Mi ripete spesso di trovarmi un altro lavoro. Un lavoro “vero”, che mi garantisca uno stipendio sicuro. Avendo fatto questo lavoro per una vita, mia mamma sa bene cosa vuol dire: non solo è difficile guadagnare, ma si deve già essere contenti se si riesce a rientrare dalle spese sostenute». Eppure, per Andrea non ci sono mai stati piani B. «Io volevo fare questo mestiere. Sono nato per questo». Un concetto che ritorna quasi identico nelle parole di un altro allevatore, Nicola Pedrini di Airolo. «Come dico sempre, il nostro lavoro è come quello del prete: serve la vocazione. E anche una buona dose di determinazione, perché bisogna essere sempre pronti a lottare per sopravvivere», racconta. Entrando nella sua stalla, a due passi dal Caseificio del Gottardo, si percepisce la grande cura che Pedrini mette nella sua attività: una cinquantina di mucche libere di muoversi all’interno di ampie recinzioni e un robottino che serve loro il foraggio e che pulisce il pavimento. «Mi è costata parecchio - ammette Pedrini guardando la stalla - ma il benessere dell’animale per me viene al primo posto. Io sono un grande fan del progresso tecnologico e ho cercato di applicarlo al mio settore per ottenere animali sempre più sani e un prodotto d’eccellenza». Risultati che, dice, troppo spesso non vengono riconosciuti. «Si pensa ai contadini come all’ultima ruota del carro. A nessuno importa più di cosa facciamo e di come lo facciamo», sottolinea con un filo di amarezza. «Quando ero alle Medie avevo 6 in nove materie, e 5 e mezzo nelle altre tre. L’orientatore mi chiese cosa volessi fare e io non ebbi dubbi: “Il contadino”, risposi. Mi disse che ero matto».

Chi resta e chi parte

A pesare, è «la scarsa considerazione del nostro lavoro», evidenzia Pedrini. «Eppure, se non ci fossero gli agricoltori, le regioni periferiche morirebbero. Siamo noi a occuparci di questo territorio, noi a spendere i nostri soldi nelle attività commerciali della zona». Molti, però, oggi preferiscono trasferirsi altrove e fare altri mestieri. «Della mia classe, eravamo in 27. Siamo rimasti qui in quattro. Io continuo perché non potrei fare altro, e perché ho la fortuna di vendere il mio latte al Caseificio del Gottardo, con il quale ho stipulato un buon contratto. Ma chi sta altrove, nel resto del cantone, e produce latte di mucca, sta soffrendo, soprattutto dopo la chiusura della Lati».

Dal nord al sud del Ticino, la situazione non cambia. «Qui è una desolazione, trent’anni fa c’erano tante aziende agricole, oggi tutti si sono messi a fare altro», racconta Andrea Zanini di Novazzano. «Io stesso, che prima facevo molta vendita diretta dei prodotti, oggi sono sempre più orientato verso altre attività, collaterali, ma che mi permettono di avere entrate sicure». Ci ha provato, Zanini, persino cercando di diversificare la produzione e investendo nuove risorse. «Avrei voluto spostarmi sulla viticoltura, più redditizia e più resistente ai periodi di prolungata siccità, ma mi è stato risposto che così avrei tolto terreno agli animali selvatici che si aggirano qui intorno. Eccolo il paradosso: la politica preferisce pagarci per tenere i terreni incolti, e intanto i cinghiali della zona distruggono tutto». Zanini, però, non intende mollare. «Dobbiamo far sentire la nostra voce, nonostante lo smarrimento. Io ho deciso di tenere duro, perché qui c’è il lavoro di una vita. Mio figlio, però, ha preferito andare a lavorare come dipendente. Fa l’autista, e onestamente non mi dispiace, proprio perché qui, per lui, non c’è futuro».

Protesta, con educazione

C’è fermento, tra i contadini ticinesi. Che però per il momento non intendono scendere in strada. «Girare i cartelli è un modo pacato per far capire che siamo stanchi, che chiediamo di essere ascoltati», spiega Pedrini, auspicando soprattutto un cambio di rotta da parte del consumatore. «Ci si è accorti della nostra esistenza durante la pandemia, ma è stata solo una parentesi». Oggi che il COVID è un ricordo, la popolazione è tornata a fare la spesa in Italia. «Capisco che i rincari ci sono per tutti - prosegue - e non me la sento neppure di puntare il dito contro la grande distribuzione, che fa i prezzi in base alle esigenze del consumatore. Ma mi piacerebbe che si riuscisse a essere più coerenti». «Tutti si proclamano amici degli animali e della natura, ma nessuno poi è disposto a spendere qualche centesimo in più per sostenere le aziende locali che si impegnano a tutelare il territorio e a produrre nel rispetto delle rigidissime normative svizzere», gli fa eco Zanini. Gli agricoltori, insomma, chiedono più concretezza. «Siamo gente che lavora sodo, tutti i giorni, e raccogliamo spesso solo le briciole della nostra attività». Per di più, «veniamo costantemente criticati dagli animalisti e da chi ci considera una categoria di privilegiati per i pagamenti diretti che percepiamo dalla Confederazione. È ora di dire basta: e se un cartello girato sottosopra servirà a far parlare di noi e della nostra realtà, sarà già un piccolo successo».

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