Un codice etico per la Giustizia? «Non è necessario esplicitarlo»
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/stories/2025/02/06/1920x1080/8787cf3c-6f65-4038-bdf9-b9501d91ce9a.jpeg)
Obbligare tramite un nuovo articolo della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG) il terzo potere dello Stato a dotarsi di un codice etico? È quanto chiede un’iniziativa parlamentare del deputato Matteo Quadranti (PLR), inoltrata nel maggio dello scorso anno, ossia in pieno «caos al Tribunale penale cantonale» (TPC). Una richiesta su cui ora si è espresso anche il Consiglio di Stato, tramite un messaggio governativo, con il quale essenzialmente ha invitato il Gran Consiglio a respingere la proposta. E lo ha fatto – dopo aver consultato i diretti interessati – per più motivi: in primis per una questione di separazione dei poteri; ma anche perché gli strumenti attualmente in vigore a mente dell’Esecutivo sono sufficienti.
La consultazione
Nel messaggio il Governo spiega in prima battuta di aver proceduto ad un’ampia consultazione in Magistratura, ottenendo una rispondenza «alquanto modesta, indizio forse (...) di uno scarso interesse da parte dei diretti interessati all’introduzione di nuove regole etiche nella magistratura tramite l’aggiunta di un nuovo articolo della LOG». Riassumendo le varie prese di posizione giunte dal potere giudiziario, il Governo spiega poi che da queste «si evince che l’introduzione di un codice etico come quello proposto costituirebbe, per certi versi, un doppione di norme e principi già vigenti riguardanti l’esercizio della Magistratura». In questo senso, ad esempio, viene citato «il potere di controllo già esercitato dal Consiglio della Magistratura» (CdM). Anche lo stesso presidente del CdM viene citato direttamente nel messaggio, dove viene spiegato che esso «ha pure rimarcato che le norme e i principi etici validi per i magistrati sono già piuttosto chiari anche se non del tutto codificati». E in ogni caso, «pur se non vi è alcun tipo di obiezione all’introduzione di un codice etico, egli ritiene che la competenza ad emanarlo dovrebbe essere attribuita ai Magistrati stessi tramite l’Assemblea dei magistrati con il CdM e non ad autorità legate al potere esecutivo o a quello legislativo». Una posizione, come vedremo, spostata dall’Esecutivo.
Le motivazioni
Entrando nel merito, viene spiegato che «sul tema ricorrente di un comportamento degno e del rispetto delle regole legate alla carica da parte dei magistrati, oggetto di recente dibattito in seguito alle ben note problematiche insorte presso il Tribunale penale cantonale, il Consiglio di Stato non può fare a meno di rimarcare (...) che già oggi esistono una serie di norme e principi iscritti in leggi formali e regolamenti che obbligano i magistrati ad attenersi a determinate regole di comportamento (nel Codice penale, nel Codice di procedura civile, nella LOG, nella LORD), pena l’adozione di misure disciplinari nei loro confronti da parte del CdM». Ma non solo. «Contrariamente a quanto sostenuto nell’iniziativa parlamentare», aggiunge il Governo, l’articolo 74 della LOG «non è affatto una “lettera morta”, posto che proprio in queste ultime settimane il CdM ha dimostrato di saper prendere, qualora ve ne sia il bisogno, provvedimenti disciplinari importanti e incisivi, a tutela dell’immagine della Giustizia, in caso di violazioni dei doveri professionali da parte di magistrati». Il riferimento alla destituzione dei due giudici avvenuto a dicembre, su questo fronte, è ovvio.
Detto ciò, l’Esecutivo cita poi pure il parere del presidente del Tribunale federale Yves Donzallaz, «che ha di fatto messo in dubbio - anche vista l’esperienza negativa vissuta negli anni passati in diversi tribunali federali - l’efficacia di queste norme etiche nel caso di conflitti particolarmente acuti fra magistrati», per i quali «in definitiva solo l’intervento da parte delle autorità superiori di vigilanza», tramite misure disciplinari, «ha potuto porre rimedio a situazioni incompatibili con l’immagine e il buon funzionamento della Giustizia».
Insomma, per tutti questi motivi il Governo invita il Parlamento a respingere l’iniziativa, dicendosi tuttavia non contrario «all’introduzione di un codice etico (...) nella misura in cui questo sia elaborato dall’Assemblea dei magistrati in collaborazione con il Consiglio della Magistratura»