Il reportage

Valli stravolte, ma dopo la paura c'è la resilienza

Abbiamo visitato la Val Lavizzara e la Val di Peccia, profondamente sconvolte dalla tempesta di domenica – Tra case distrutte e strade disastrate, c’è sconforto nella popolazione, ma anche voglia di ricostruire quanto perduto
©Gabriele Putzu
Paolo Gianinazzi
03.07.2024 06:00

È accaduto, purtroppo, quanto tutti temevano. Il bilancio, in vite umane, della tragica tempesta che si è abbattuta domenica notte sulla Vallemaggia, si è aggravato. Nel tardo pomeriggio di ieri la Polizia cantonale ha confermato il ritrovamento di un cadavere all’altezza di Riveo, nel greto del fiume Maggia. È la quarta vittima della furia della natura. Al momento, però, non è dato a sapere se si tratti di una delle cinque persone disperse.

Il riconoscimento formale è invece avvenuto, sempre ieri, per le altre vittime. Si tratta di tre donne, decedute a causa della frana di Fontana: una 76.enne e due 73.enni, cittadine germaniche residenti nel Baden-Württemberg. Secondo quanto il CdT è riuscito ad appurare, due delle tre donne trascorrevano periodi di villeggiatura ormai da parecchi anni nella casa in valle Bavona, mentre la terza vittima era una loro amica che le aveva raggiunte per le vacanze.

Un mix di emozioni

Ieri, le ricerche degli specialisti della Polizia cantonale e del Soccorso alpino svizzero sono andate avanti tutta la giornata. Non a caso, in valle, il via vai degli elicotteri era ancora ben presente.

Noi, dopo avervi raccontato la frana di Fontana e la tragica situazione in Bavona, ieri siamo stati in Lavizzara e in Valle di Peccia. Una valle per certi versi molto simile alla Bavona ma, allo stesso tempo, anche molto diversa. Se nella prima la maggioranza della popolazione è formata da abitanti stagionali, che si recano d’estate nella loro casa di vacanza, qui ancora diverse centinaia di persone abitano la valle tutto l’anno. Non hanno altro posto dove andare. La loro vita è qui. E in molte di loro, nei loro occhi, abbiamo visto grande preoccupazione. Timore per il futuro. Ma anche resilienza e voglia di ricostruire. La Lavizzara, giustamente, è un grande mix di emozioni.

I primi segnali

Risaliamo la valle in macchina, e i primi chiari segni di devastazione li incontriamo già verso la zona dei Mulini di Menzonio. Anche qui, lungo la strada cantonale, un ponte è crollato. Ceduto. E anche qui i segni dell’acqua, passata domenica notte, raggiungono e superano l’altezza della strada stessa. A occhio e croce, rispetto alla situazione attuale, il fiume era alto almeno 3 o 4 metri in più.

Dalla pista alla pozza

È però una volta giunti a Prato Sornico che, per la prima volta, vediamo ciò che il sindaco Gabriele Dazio ha descritto negli scorsi giorni. Devastazione. La terrazza del ristorante appena superato il ponte è stracolma di fango, alto almeno una quarantina di centimetri.

Poco più in là, andando in direzione della Valle di Peccia, una frana ha completamente travolto una vettura, ostruendo di fatto tutta la strada. Nel frattempo, però, è stato aperto un varco tra i massi e il fango. E, proprio lì dietro, sulla sinistra, iniziamo a intravvedere ciò che è rimasto dell’ormai «celebre» pista di ghiaccio. Ci avviciniamo e troviamo un enorme scheletro, fatto di legno, travolto e fatto a pezzi dalla forza del fiume. Il fango, qui, ha raggiunto ogni angolo. All’entrata i detriti e gli alberi si mischiano con il plexiglas rotto. Il Paese è semi-deserto. Ma qualche abitante ha già iniziato a svuotare il garage, per fare pulizia.

Saliamo ancora, raggiungiamo Peccia e scendiamo la stradina che porta al Grotto Pozzasc, per dare un’occhiata al ristorante. Fortunatamente, perlomeno al nostro occhio inesperto, la struttura è stata risparmiata. Solo un po’ di sabbia e fango hanno raggiunto il giardino antistante. Quasi inutile dire, però, che la famosa «pozza», la piscina naturale tanto apprezzata dai clienti, in questo momento non esiste più. Al suo posto, ovviamente, scorre il fiume in maniera ancora impetuosa.

Una colata che ha travolto tutto

Altri dieci minuti di macchina e raggiungiamo Piano di Peccia. Un posto che, in una giornata soleggiata come quella di ieri, appare in tutta la sua bellezza. Bellezza che, però, cozza frontalmente e brutalmente con lo sconquasso che qui la natura ha provocato. È, assieme a Prato Sornico, uno dei luoghi più toccati dalla spaventosa tempesta.

In lontananza, sul lato opposto del fiume rispetto alla frazione di San Carlo, scorgiamo alcuni giovani intenti a sgomberare una vettura dal garage di un’abitazione. È solo avvicinandoci, però, che pian piano comprendiamo che quella casa, che da lontano appare quasi intatta, in realtà è completamente distrutta. Dietro la struttura, un’impressionante colata di massi e fango ha prima invaso la stalla posta sul lato opposto, trafiggendola senza farla cadere, per poi raggiungere anche l’abitazione. Il fiume, che prima distava decine di metri, ora ha cambiato percorso e passa letteralmente a fianco della casa. Accarezzandola. Ora quasi con gentilezza. Domenica notte con estrema violenza. Visibilmente scosso, il giovane che abita lì, preferisce non parlare. Non è il momento. State bene? Chiediamo. «Sì, fisicamente sì...», risponde. Come a lasciare intendere che il morale, invece, è a terra. «Ha perso tutto», ci dirà poi un suo amico giunto per dare una mano. «Ora non ci resta che ricostruire», aggiunge con una punta di speranza e con tanta resilienza. «Andate a dare un’occhiata in paese», dice poi, mostrandoci alcune foto dei disastri provocati quella notte.

Già, risalendo verso il nucleo, la strada che costeggia il fiume è accartocciata (e poi distrutta). Ricorda tanto l’arrivo a Fontana, nella valle accanto. Poco più in là, poi, una casa è stata sventrata dalla forza della natura. La metà del primo piano è semplicemente stata portata via. Per fortuna, ci dirà un’abitante della zona, quella notte nessuno era in casa. «Siccome pioveva non solo saliti...».

In fondo al paesino, troviamo due signori e una signora. Stanno tentando di rimuovere una vettura dal garage. «Ci date una mano?». «Certo. Ci mancherebbe». L’auto, incollata a terra dal fango, si stacca e si sposta pian piano, fino a liberarsi. E ci fermiamo a fare due chiacchiere. «Il materiale si recupera, ma i morti, quelli non tornano», ci dice Americo, con una punta di tristezza. Gli abitanti di Piano di Peccia, aggiunge, «si sono sentiti abbandonati. Nessuno è arrivato fino al mezzogiorno del giorno dopo». E anche adesso, «non c’è in giro nessuno». Gli aiuti, insomma, per loro andrebbero migliorati. Guardando la valle e il fiume, verso Nord, dove tanta devastazione è ancora da scoprire, Americo non nasconde l’amarezza per quanto accaduto. «È cambiato tutto. Il letto del fiume non è più lo stesso». E chiosa, con un po’ di sconforto: «Ho ottant’anni, non vedrò più questo posto tornare come prima».

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