A spasso nel tempo perduto

La macchina si chiama cronovisore e a rivelarne l’esistenza è stato lo stesso creatore, Pellegrino Alfredo Maria Ernetti, benedettino, fisico, esorcista e studioso di musica
Carlo Silini
21.07.2017 02:05

di CARLO SILINI - Come ci si cura dalle informazioni poco attendibili, per non dire false? Bisognerebbe poterle verificare con una macchina del tempo che ci riportasse esattamente là dove i fatti sono avvenuti per farceli vedere come in tv. Una moviola della storia, insomma. Ebbene, questa macchina esiste. Diciamolo a bassa voce, che è questione delicata: siccome è un?invenzione in grado di svelare i più scottanti segreti del mondo, è stata nascosta. In Vaticano, ovviamente, dove secondo molti osservatori si custodiscono buona parte dei misteri più indicibili dell?umanità. L?ha costruita un monaco-scienziato assieme ad altri sette fisici di fama mondiale, tra cui Enrico Fermi e Werner Von Braun, che grazie ad essa hanno potuto vedere coi propri occhi anche un?arringa di Cicerone e la passione di Cristo.

Se vi siete bevuta questa storia fin qui potere anche smettere di leggere, il resto non vi riguarda. Interesserà, tutt?al più, al solito sparuto gruppo di lettori che per qualche oscura ragione non si accontenta dei titoli o delle prime lapidarie informazioni e pretende un supplemento di spiegazione. D?accordo.

La macchina si chiama cronovisore e a rivelarne l?esistenza è stato lo stesso creatore, Pellegrino Alfredo Maria Ernetti, benedettino, fisico, esorcista e studioso di musica. Intervistato dalla Domenica del Corriere nel numero 18 del 2 maggio 1972, Padre Ernetti raccontò gli esperimenti eseguiti con altri fisici 30 anni prima, che avevano portato alla costruzione di un apparecchio capace di trasportare lo spettatore indietro nel tempo, come se stesse guardando la tv, in un qualsiasi punto fra una miriade di avvenimenti passati. All?(immaginiamo) stupefatto intervistatore confidò di aver ascoltato e visto un discorso di Mussolini, di aver ammirato Napoleone mentre pronunciava il discorso sull?abolizione della repubblica della Serenissima. Sostenne inoltre di avere assistito alla rappresentazione della tragedia andata in gran parte perduta Thyeste, del poeta romano Ennio Quinto alla quale aggiunse le parti mancanti, ottenute grazie alla registrazione effettuata durante la sua rappresentazione col cronovisore. Ma, soprattutto, il monaco disse di aver visto coi propri occhi gli ultimi momenti della vita di Gesù. E per dimostrarlo passò al giornale la foto del volto di Cristo ottenuta tramite lo straordinario marchingegno.

Agli scettici, nella stessa intervista, il reverendo oppose l?argomento teorico che spiegava scientificamente il busillis: «L?intera elaborazione si basa su un principio di fisica accettato da tutti – osservò – secondo il quale le onde sonore e visive, una volta emesse, non si distruggono ma si trasformano e restano eterne e onnipotenti, quindi possono essere ricostruite come ogni energia, in quanto esse stesse energia». Un argomento in sé corretto, lo stesso usato per spiegare come mai oggi vediamo ancora la luce delle stelle che si sono spente milioni di anni fa. Eppure, vai a capire perché, le sue dichiarazioni suscitarono una ridda di dubbi. Forse perché Fermi e Von Brown (gli unici colleghi citati da Ernetti) erano già morti e non potevano confermare le sue parole.

Oppure perché un lettore della Domenica del Corriere aveva spedito poche settimane dopo la foto del volto del crocefisso ligneo di Cullot Valera, venerato nel santuario di Collevalenza (Todi) che stranamente era identico a quello fotografato da Ernetti col cronovisore. Misteri. A screditare il povero religioso ci si mise perfino un?acida classicista dell?università di Princeton, espertissima di Ennio Quinto, secondo la quale le aggiunte al testo originale non potevano essere considerate autentiche perché contenevano molte parole che nel linguaggio latino sarebbero subentrate oltre 200 anni dopo.

All?inizio il povero Ernetti tentò di ribattere. Delle foto disse, ad esempio, che «il nostro Cristo fu captato nel 1953, mentre quello di Collevalenza venne realizzato circa sei anni dopo; e quando madre Speranza lo vide nella nostra foto, fece salti di gioia, perché corrispondeva a quello della sua visione». Ma a poco a poco si chiuse nel mutismo fino alla morte avvenuta nel 1994. Non rinnegò mai la sua scoperta e se i pochi lettori arrivati fin qui si prendono la briga di fare un giretto su Internet scopriranno che molti, in rete, sono convinti che la sua non fosse affatto una bufala. A questo punto c?è un solo modo per appurare se avesse ragione: procurarsi un cronovisore per verificare se quanto ha detto corrisponde al vero. Andrebbe benissimo anche di seconda mano.

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