Il commento

Che cosa c'entra Federer con i successi di «Odi» e Lara?

La dimensione raggiunta da Roger s'intreccia con la grandezza di Odermatt e Gut-Behrami, campioni in modo diverso e però indiscutibile
Massimo Solari
15.01.2024 06:00

Nel caso di Marco Odermatt, non spiegano tutto. In quello di Lara Gut-Behrami, invece, custodiscono molto. Parliamo dei numeri dei due diamanti dello sci rossocrociato (e mondiale), protagonisti assoluti di un altro weekend. E però diversi nella rispettiva e indiscutibile grandezza. A sintetizzare alla perfezione la dimensione di «Odi», negli scorsi giorni, ci ha pensato Le Temps. Il quotidiano romando ha parlato di «federerizzazione» dell’atleta. E, sì, è proprio ciò che sta accadendo al nidvaldese, così come a chi ne ammira le sontuose gesta.

Disarmante nella sua supremazia, impressionante (appunto) a livello statistico a soli 26 anni, inimitabile nello stile e nel fisico, elastico e al contempo potente. Un marmo del Bernini. L’estasi, va da sé, è di chi guarda e apprezza anche il lato umano del campione. Che stima e sostiene i rivali. E dai rivali (tutti o quasi) è stimato e sostenuto. Come Roger e Rafa, già.

Lara Gut-Behrami non è mai stata e non ha mai voluto essere tutto questo. Mica lo impone il dottore, d’altronde. Eppure, al netto della mancata osmosi con pubblico e opinione pubblica, la ticinese sta ottenendo dei risultati clamorosi. Continua a ottenerli. Ed è per questa ragione che se non ci riescono pienamente i cuori, a misurare la caratura dello sportivo devono essere le cifre. I paragoni, anche. Basti allora pensare che - vincendo il superG di ieri - la 32.enne di Comano ha raggiunto il leggendario Pirmin Zurbriggen a quota 40 vittorie in Coppa del Mondo. Non solo. Lara è diventata la settima donna della storia a portare l’asticella personale a questo livello. E tra le campionesse svizzere la sola Vreni Schneider può vantare un numero maggiore di successi (55).

Gli ultimi capolavori di Odermatt e Gut-Behrami sono significativi anche per un’altra ragione. Perché s’intrecciano, di nuovo secondo chiavi di lettura differenti, con le riflessioni imposte dalle estenuanti gare disputate a Wengen. «Odi» e colleghi lo hanno suggerito chiaramente: infarcendo il calendario per non smarrirne le ricadute agonistiche e soprattutto economiche, la FIS gioca con il fuoco. Con la salute degli sciatori. Vero. Ma il confine tra giusto e sbagliato è davvero sottile. Dove porre il limite, detto altrimenti? La stagione, in questo senso, appare emblematica. Si è iniziato dalle discussioni sulle nuove gare a Zermatt, con la questione climatica, la messa in sicurezza degli atleti e la durabilità del Circo bianco finite nello stesso calderone. Si è proseguito con le prove annullate in serie a causa del maltempo. E - proprio per recuperarle a tutti i costi - si è terminato con tre elicotteri sulla pista del Lauberhorn. A spingere la concorrenza e lo sci all’estremo, per certi versi, è però lo stesso Odermatt. Lo ha sottolineato bene sul Blick Bernhard Russi, aggiungendo come Wengen abbia risvegliato al momento giusto la coscienza e il rispetto per se stessi degli atleti: prima della doppia discesa sulla esigentissima Streif di Kitzbühel. Gut-Behrami, a proposito di limiti, ha invece riconosciuto l’importanza di essersi messa alla prova per tre giorni consecutivi sullo stesso tracciato. A poco più di 15 anni dal primo, è così arrivato il ventesimo sigillo in superG. Curioso: in un lasso di tempo molto simile, fra il 2003 e il 2018, Roger Federer ha messo le mani su venti Slam.

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