Dio solo sa quanto talento ha Carlos Alcaraz

«Il match che potrebbe cambiare la storia del tennis». Così era stato presentato. Non sappiamo se di fatto sarà proprio così. È sempre difficile leggere il futuro dello sport. Quello che è certo è che ci sono tutte le premesse per l’inizio di una nuova era. C’era il dominatore di Wimbledon, deciso a tenersi stretto il suo torneo. Ma c’era anche il giovane pretendente, un tennista coraggioso come un torero, convinto di potersi battere alla pari con il campione, che alla fine ha sconfitto in cinque set. Da una parte la cura maniacale del fisico, la potenza della mente e un enorme bagaglio di esperienza, dall’altra il coraggio, la rabbia agonistica e forse anche l’incoscienza di chi sa che il futuro gli appartiene. Carlos Alcaraz, ventenne di Murcia e numero uno al mondo, firma il suo secondo titolo del Grande Slam dopo l’Open degli Stati Uniti 2022. E ferma Novak Djokovic, che sognava di conquistare il suo ottavo titolo a Wimbledon per emulare Roger Federer e il 24.esimo Slam per affiancare Margaret Court.
Nessuno dei due contendenti, il serbo e lo spagnolo, possiede l’eleganza di Federer, la sua magia. Però nel tennis contano anche tante altre caratteristiche che possono fare la differenza e che possono proiettarti oltre ogni limite. Il tennis è uno sport appassionante e al tempo stesso crudele. Non sempre vince chi fa più punti. Contano quelli importanti. Conta soprattutto farsi trovare pronti nei momenti topici del confronto. E questa volta Alcaraz è stato il protagonista. Il campo è un teatro in cui gli attori non conoscono il copione. Lasciano che ad esprimersi sia il talento. E Dio sa quanto ne ha il ventenne di Murcia. Il Centre Court di Wimbledon è un palcoscenico straordinario, che perfino la nuova generazione dei reali inglesi – era presente anche Filippo VI di Spagna – ha deciso che non poteva snobbare.
Novak è un fenomeno, capace di trarre energia quando è sotto pressione e nel mirino delle critiche. Ha un gioco che logora l’avversario e spesso lo stritola con l’astuzia di un serpente. A volte ha anche dei gesti poco opportuni, tanto da procurarsi ammonimenti. Carlos è stato solido. Non si è fatto stritolare. Ha anzi mostrato, oltre alla qualità del suo tennis, di avere un carattere fortissimo. Nell’ultimo gioco della partita si è addirittura superato, quasi al limite dell’incoscienza. Dopo una smorzata fallita, ha centrato un pallonetto calibratissimo e si è poi esibito in una splendida volée a rete prima di prendersi il match-ball. Così, con veri colpi di genio, è riuscito a detronizzare il campione. Il momento più difficile, per Alcaraz, è arrivato alla fine della partita quando, visibilmente emozionato, ha dovuto raccontare le sue sensazioni per la conquista di questo straordinario successo.
Negli anni Djokovic ha abbattuto quasi tutti i primati, possibili ed immaginabili. Chissà dove sarebbe arrivato se avesse deciso di vaccinarsi e di conformarsi alle regole dei tornei dai quali è stato escluso in epoca di pandemia. Novak è un lupo solitario. In fondo lo è sempre stato. È un tennista in apparenza scontroso, ma anche ricco, anzi ricchissimo di umanità. E sa anche essere solidale, accettando le sconfitte che a volte fanno molto male. Lo ha dimostrato spesso nella sua lunga carriera. Non solo nelle 35 finali di Slam raggiunte, 23 delle quali alzando il trofeo. Il serbo ha dominato il tennis dell’ultimo decennio, succedendo alla premiata coppia Federer/Nadal. Il renano si è ritirato, il maiorchino spera di poter tornare, ma la sua sembra una scommessa davvero proibitiva. Se non dovesse più esserci il Rafa dei più alti livelli, ecco però già pronto il suo successore. Come lui Alcaraz è un grande combattente, ma non è il suo un alter-ego. Ha una sua personalità il ventenne di Murcia, che si è presentato a Wimbledon come testa di serie numero 1 e che è riuscito a conservare la sua leadership nella graduatoria mondiale. Lo sa bene Novak che anche per questa stagione deve rinunciare all’assalto del vero Grande Slam, quello stagionale, centrato due volte da un solo campione, l’australiano Rod Laver: nel 1962 da dilettante e nel 1969 con la formula Open.
Già nell’ultima sfida tra Djokovic e Alcaraz, la semifinale del Roland Garros, c’erano tutte le premesse per assistere ad un match epico. In quell’occasione lo spettacolo era però purtroppo stato interrotto dai crampi da nervosismo che avevano colpito lo spagnolo. Stavolta è stata una partita molto diversa. Un inizio fin troppo facile per il campione in carica. Abbiamo anche temuto che la finale potesse filare via senza sussulti, senza vere emozioni. Invece non è stato così. Alcaraz ha mostrato carattere e si è guadagnato la simpatia di tutti. Sicuramente anche quella di Federer, che in cuor suo si sarà detto: «Per il momento sono ancora io il più vittorioso nel mio giardino».