Elon Musk e l’effetto valanga

Strano mondo, quello di Twitter. Ci eravamo preparati all’ingresso, trionfante e strafottente, di Elon Musk nel Consiglio di amministrazione della società. E invece no, il patron di Tesla e SpaceX ha gentilmente declinato l’offerta. Rimarrà solo (si fa per dire) azionista di riferimento.
Curiosamente, ma nemmeno troppo, un’azienda fondata sulla comunicazione e le interazioni ha scoperto di non avere né il dono della sintesi né tantomeno quello della chiarezza. Ahia. Parag Agrawal e gli alti papaveri di Twitter, in questi giorni, si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni e comunicati spesso discordanti fra loro, se non addirittura in antitesi con quanto l’azienda aveva fatto e detto sin qui. L’accelerazione sul famoso, e famigerato, tasto «edit» dopo l’altrettanto famoso, e famigerato, sondaggio di Musk dimostra, quantomeno, una certa confusione.
Lo stesso Agrawal, ora, si trova nella scomoda posizione di dover spiegare che Musk, lo stesso Musk con cui non vedeva l’ora di lavorare a stretto contatto, non siederà nel Consiglio di amministrazione. Tradotto: continuerà a «trollare» Twitter come un utente qualsiasi, con la differenza che il nostro è ricco, ricchissimo e, ancora, si è appena assicurato una larga fetta dell’azienda.
È come se Musk, da fuori, avesse continuato a martellare e martellare fino a sfondare la cosiddetta quarta parete per confondere il discorso pubblico con quello privato, ovvero le strategie aziendali. Tutto, incredibilmente, per poi dire «no grazie, il Consiglio tenetevelo pure voi».
Perché il magnate abbia agito così non è dato sapere. Per alcuni, è puro culto della personalità. Per altri, è un modo per alimentare i suoi veri progetti: Tesla su tutti. Per altri ancora, la rinuncia a un posto in Consiglio va interpretata come un gesto distensivo nei confronti della SEC, l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori, da tempo sul piede di guerra per i cinguettii sibillini di Musk che scombussolano il mercato. O, ancora, magari si è semplicemente annoiato e ha detto no. Sia quel che sia, quel 9% e oltre rimane, posto in Consiglio o meno.
Di sicuro, la presenza di Musk fra gli azionisti di Twitter con il passare dei giorni e dei tweet creerà il cosiddetto effetto valanga. E costringerà i vertici dell’azienda a parare un colpo dietro l’altro. Nella speranza, nel frattempo, che Agrawal e gli altri imparino a gestire meglio la comunicazione esterna.
Sviluppatasi quasi per gioco, con una finta costruzione dal basso spinta proprio da Musk, la ristrutturazione di Twitter forse sarebbe stata più semplice contenendo, si fa per dire, l’azionista di riferimento tramite una poltrona in Consiglio e un ruolo attivo. Dandogli, insomma, dei limiti.
Twitter, in queste ore, ha invece scoperto che la sola cosa più problematica di avere Musk seduto in Consiglio è avere Musk senza guinzaglio, libero di agire e twittare, di «trollare» come detto. E, quindi, di spingere l’azienda verso un pericoloso cortocircuito comunicativo.