Il commento

Grazie UBS

Con un simile titolo sono perfettamente cosciente che non si aumenta né la popolarità né la simpatia, ma la provocazione è voluta
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
17.01.2025 06:00

Con un simile titolo sono perfettamente cosciente che non si aumenta né la popolarità né la simpatia. Ma la provocazione è voluta per contrastare la convinzione generale che il Credit Suisse sia stato ceduto all’UBS per un tozzo di pane, un quasi regalo. Se analizziamo l’accordo ci accorgiamo che ciò non risponde a verità.

Innanzitutto l’UBS avrebbe potuto, se avesse voluto, imporre condizioni molto più dure. Infatti era l’unico possibile compratore. Forse ha giocato un po’ di sentimento nazionale. L’alternativa sarebbe stata il fallimento del Credit Suisse, con pesantissime conseguenze non solo per la nostra economia ma anche per l’enorme danno reputazionale. Un fallimento con procedure che si sarebbero trascinate per anni e con un impatto negativo molto più grave per la Svizzera di quello della Swissair.

Un acquirente straniero, una banca internazionale? Un’alternativa praticamente impossibile, solo l’UBS aveva le possibilità e le conoscenze, sia pur con qualche rischio, vista la mala gestione del Credit Suisse, di prendere la decisione in pochi giorni e notti di analisi e valutazioni. E se l’UBS l’ha potuto fare è anche grazie al suo Presidente del Consiglio, uno stagionato banchiere con una carriera di successo negli USA alle spalle, che inoltre aveva l’esperienza di situazioni simili per averle vissute. Oltretutto ha potuto giocare la carta di Sergio Ermotti, che negli anni passati aveva ristrutturato con successo l’UBS e si sarebbe ritrovato a dirigere un team competente da lui a suo tempo formato. Disporre o non disporre di un Ermotti avrebbe potuto far la differenza.

L’UBS ha pagato un prezzo complessivo non indifferente, costituito oltre ai 3,8 miliardi di franchi sborsati, dall’assunzione di 5,9 miliardi di perdite per il 2023 del Credit Suisse, ma ancor più importanti le previste perdite di guadagno dovute agli oneri relativi all’assorbimento del Credit Suisse. Il tutto con un margine di rischio che avrebbe potuto rendere più oneroso l’acquisto.

A proposito della perdita di guadagno mi spiego meglio: l’utile sul capitale proprio dell’UBS nel 2022 (ante assunzione Credit Suisse) è stato del 17%, con Credit Suisse incorporato scende nel secondo semestre 2023 al 3%, e non risalirà che lentamente negli anni sino al 2026, se le cose andranno per il verso giusto. Complessivamente si tratta di una perdita di profitti, negli anni immediatamente successivi all’acquisto, di diversi miliardi, che impattano sul costo dell’operazione.

Ma il tutto a una condizione, quella che Ermotti ed il suo management team riescano nel successo gestionale, senza contare che dei nostri tempi possibili situazioni anomale su mercati potrebbero influire negativamente. Certo che se tutto va bene a partire dall’anno 2027 l’affare si potrebbe rivelare interessante, anche grazie all’abilità gestionale. Ma il giudizio non lo possiamo certo dare oggi. Pure la Borsa indica valori per le azioni che confermano la fiducia nel management, l’unica incognita, che frena il corso dell’azione, è relativa alla decisione che la politica prenderà a proposito del capitale della Banca.

Il futuro successo dell’operazione, ma anche quello dell’intera UBS, è pertanto nelle mani della politica e delle autorità federali. Esse si trovano nella necessità di decidere se la Svizzera vuole ed ha interesse ad aver una banca di importanza mondiale con vantaggi e possibili rischi. I vantaggi si riflettono sull’intera piazza finanziaria svizzera, sulle multinazionali svizzere per il loro operare nel mondo, oltre alla reputazione della quale gode direttamente la Svizzera avendo un’UBS in testa ai gestori patrimoniali nel mondo.

La Svizzera approfitta positivamente delle eccellenze che abbiamo nella chimica, nell’alimentare, nell’elettromeccanica. Ci danno autorevolezza e un prestigio internazionale superiore alle nostre dimensioni, oltre ad essere fonti di molti miliardi di imposte (per la sola UBS 2,6 miliardi all’anno). La piazza finanziaria dà lavoro a 250.000 persone in attività qualificate e ben remunerate, allargata ai servizi collegati gli impiegati salgono a 480.000. Origina 74 miliardi di PIL che tenendo conto delle attività accessorie superano i 100 miliardi.

Se la presenza di un’UBS operante con successo a livello mondiale è considerata, pur tenendo conto dei pro e contro, un vantaggio per il Paese, la sua economia e la sua reputazione, allora dobbiamo permettere alla Banca di competere con la concorrenza internazionale, specialmente americana, permettere che l’UBS si batta ad armi pari senza venir svantaggiata, ed evitare di imporle lacci e, in particolare, aumenti di capitale. Si parla di 20/25 miliardi, che penalizzerebbero la redditività. Gli utili rimarrebbero uguali ma dovrebbero rimunerare un capitale molto più elevato e non necessario per l’operatività. Posizione di svantaggio rispetto ai concorrenti, specie americani, i più temibili.

La politica deve decidere se mantenere una piazza finanziaria di valore mondiale o se preferisce ritirarsi sulle operazioni nazionali per le quali agiscono con successo anche le nostre banche più grandi, quale la Banca Cantonale di Zurigo più moltissime altre, anche straniere. In tal caso l’UBS farebbe bene a spostarsi negli USA per poter battersi con armi pari. 

In questo articolo: