Ha il cappellino e nel titolo crede da un anno
«Riuscire a essere lo Zurigo del 2022». Riuscire, dunque, a diventare campioni svizzeri. Mattia Croci-Torti ha pronunciato questa frase poco meno di un anno fa. Quando la mente di addetti ai lavori, tifosi e molti suoi giocatori era rivolta unicamente alla finale di Coppa Svizzera – la seconda consecutiva – che si sarebbe disputata un mese più tardi. L’allenatore del Lugano, invece, pensava ad altro. Anche ad altro. A un «assillo», per dirla sempre con il Crus. «Un assillo che mi nutre». Riuscire a vincere la Super League, aveva aggiunto, «avrebbe d’altronde del clamoroso. Sarebbe devastante». Già. E ora l’obiettivo è lì. Non lo si può stringere fra le mani, quello no, ma allungandosi è possibile accarezzarlo. È tangibile. È vero. E, come ha sottolineato il tecnico momò dopo l’ultimo successo contro il Basilea, non è un sogno, quanto il frutto di un percorso di crescita impressionante.
Da oltre un mese, una partita dopo l’altra, i risultati positivi si accumulano. Esistono solo i tre punti. Ancora e ancora. E, soprattutto, non vi sono avversari in grado di mantenere il ritmo infernale imposto dai bianconeri. Rinunciare ai playoff è stato un peccato, lo ribadiamo. Seppur ritoccato in extremis, il nuovo formato del massimo campionato svizzero un merito comunque lo possiede. A maggior ragione se a configurarsi sono stagioni come quella attuale, senza monologhi e con due o più squadre che battagliano al vertice. Il pregio, dicevamo, abbraccia la componente psicologica della corsa al titolo. In caso di distacchi esigui, il gironcino finale rischia infatti di acuire la pressione su chi è chiamato a difendere la prima posizione. E se la compagine interessata non ha le spalle larghe, beh, ecco che l’inimmaginabile – all’inizio dei giochi – diventa concretizzabile nel quadro di cinque partite secche, due delle quali per altro scontri diretti. Ci crede il Lugano e, beninteso, ci crede il Servette, a sua volta protagonista di un torneo eccezionale. Entrambi i club hanno saputo cogliere l’attimo. Come, per l’appunto, seppe fare lo Zurigo due anni fa. E, con questo, senza voler dare per spacciato uno Young Boys svuotato e fragile, okay, ma che rimane il grande favorito per chiudere di nuovo davanti a tutti.
Sopra Cornaredo, ad ogni modo, la costellazione non è mai stata così favorevole. La squadra è in totale fiducia e il suo allenatore – il Crus – non smette di fare la differenza, e sul piano del gioco, e sul piano mentale, fattore vieppiù decisivo giunti a questo punto della storia. Non solo: viene addirittura da chiedersi cosa sarebbe successo se il Lugano non fosse stato inghiottito dalle fatiche europee, fronteggiandole oltretutto con una rosa decimata. Ora, invece, il tecnico dei bianconeri dispone di un gruppo quasi al completo, di almeno 16-17 titolari, e – aspetto da non sottovalutare – può farlo con all’orizzonte due traguardi, non uno. «Ognuno vuole sentirsi parte in causa, ognuno cerca di sentirsi importante» ha osservato non a caso Croci-Torti, alludendo agli ultimi due scalini in Coppa Svizzera e all’avvincente epilogo della Super League 2023-24.
L’euforia, che in città e allo stadio si comincia a tagliare a fette, non deve tuttavia distogliere l’attenzione da un altro scenario. Quello più doloroso, se vogliamo, per quanto inevitabile. Sì, perché una costellazione favorevole è per sua natura transitoria. E anche il pubblico bianconero, dunque, deve assaporare il momento fino in fondo, consapevole che l’estate potrebbe assomigliare a un inverno. Insomma, in casa FC Lugano sta per chiudersi l’ennesimo ciclo. Come se ne era chiuso uno a margine della Coppa Svizzera conquistata nel 2022. Solo che a questo giro, insieme ai vari Celar, Hajdari, Valenzuela e Bislimi, a salutare il Ticino sportivo potrebbe persino essere una delle sue anime più pure. Ha il cappellino in testa e, già un anno fa, riusciva a immaginarsi campione svizzero.