I nervi fragili di Lando Norris
Cristiano Ronaldo, poco tempo fa, con un rigore sbagliato, ha decretato l’eliminazione della sua squadra, l’Al Nassar, nella Coppa d’Arabia. Anche il divino Baggio mancò il rigore decisivo nella finale dei Mondiali del 1994. Nessuno è perfetto, la mente in certi casi sovrasta il talento e lo penalizza sino a prostrarlo, quasi fosse una compensazione. Ma Lando Norris che oramai sbaglia a ogni gran premio o quasi, sta diventando un «caso». Il pilota c’è, è molto forte, ha qualità da vendere. Però sotto stress incespica, non sembra più lui. Solitamente va in crisi in partenza soprattutto se è in pole position, domenica invece era scattato bene e pareva tutto risolto. Invece dopo 30 giri non si è accorto che in pista era esposta una bandiera gialla grande come una casa, perché sull’asfalto c’era uno specchietto retrovisore che creava pericolo. Verstappen ha rallentato, lui no, ha tenuto il piede sul gas e si è preso una fermata obbligatoria di 10 secondi ai box. Con i quali ha fatto perdere alla McLaren 18 punti preziosi nella scalata al titolo mondiale costruttori. Alla fine lui era disperato e la squadra lo era ancora di più, anche se i 21 punti di vantaggio sulla Ferrari sono sempre tanti, a una gara dalla fine.
La F.1. non è nuova a piloti che hanno a che fare con problemi del genere. Perché a pari bravura è l’equilibrio mentale che determina il risultato. Carlos Reutemann, che in fatto di velocità pura sul giro era meglio di Senna, a volte si alzava con la luna storta e diventava un comprimario. Mika Hakkinen guardava troppo dentro se stesso e in certi momenti sembrava perso, in pista. E che dire di Nigel Mansell, detto «il leone» tanto per dare l’idea, che in frangenti di svolta della sua carriera cadeva vittima di mini-depressioni che duravano qualche ora e gli rovinavano la giornata? Poi, 24 ore dopo, stesso circuito e stessa macchina, andava in pole position. Altri ancora, per vincere l’ansia, prendevano il Tavor un’ora prima della partenza...
Lo stereotipo del campione che non teme nulla e guarda spavaldo il confronto con gli altri, non sempre si è adattato a tutti. E Norris, poverino, è uno di questi. Ma ha le risorse per uscirne, per diventare un campione completo, un uomo da battere come il suo grande ex-amico Max Verstappen, che domenica in Qatar ha compiuto l’ennesimo miracolo, a 7 giorni dalla conquista del quarto titolo mondiale a Las Vegas. Su un tracciato difficile, insidioso, la Red Bull è riuscita a trovare un assetto migliore e ha permesso a Max di dominare, dimostrando che, anche se abbandonata dal genio Adrian Newey, ha tecnici bravissimi che possono subentrare assicurandole un futuro più roseo di quanto s’immaginasse.
Tornando al caso-Norris c’è però da sottolineare che, insieme all’errore del britannico, c’è stato anche quello degli uomini della Fia che hanno atteso sei giri prima di far entrare in pista la Safety Car per rimuovere quello che restava dello specchietto retrovisore sbriciolato da una Sauber. Ma il direttore di corsa (nuovo, al debutto: incredibile!) non si può né multare né penalizzare con un pit stop. Per giunta sono state distribuite sanzioni a vanvera ad altri piloti, creando malumori repressi perché oramai il presidente della Fia, l’arabo Ben Sulayem, manda ai «lavori socialmente utili» chiunque non si attenga al galateo e si lasci andare a qualche imprecazione fuori dalle righe. Situazioni che pesano e che potrebbero anche influire, un domani, sulle sorti del mondiale, quali involontarie manipolazioni. Insomma, serve un intervento, ma possono farlo solo i piloti e i rappresentanti dei team. Lo faranno? Abbiamo dei dubbi, perché poi subentra la congiura del silenzio, con i troppi soldi in gioco. Intanto domenica ad Abu Dhabi si abbassa la serranda. La Ferrari attende il miracolo con trepidazione, la McLaren pure: due grandi squadre da troppo all’asciutto che non vedono l’ora di tornare a stappare lo champagne. Ma la bottiglia è una sola…