Il commento

Il fantasma di Diana nell'autunno dei Windsor

Alle 4 e 41 del 31 agosto 1997 l’anchor Nick Gowing, con voce incrinata dall’emozione, annunciava dagli schermi della BBC che la principessa di Galles, non più Altezza Reale per decreto della vendicativa ex suocera, era morta a Parigi in un incidente stradale sotto il tunnel dell’Alma
Antonio Caprarica
31.08.2022 06:00

Furono i giorni del dolore e della rabbia. Alle 4 e 41 del 31 agosto 1997 l’anchor Nick Gowing, con voce incrinata dall’emozione, annunciava dagli schermi della BBC che la principessa di Galles, non più Altezza Reale per decreto della vendicativa ex suocera, era morta a Parigi in un incidente stradale sotto il tunnel dell’Alma. Da quel momento fu come se un ruggito sordo salisse sempre più forte dalle viscere della società britannica per erompere nell’incontenibile ondata umana che sommergeva le strade di Londra arrestandosi infine, tra i singhiozzi, davanti a Kensington Palace, residenza di Lady D. Nel giro di poche ore, sotto i nostri occhi di cronisti, il prato davanti all’antica reggia di Guglielmo III si trasformò in uno sterminato sacrario floreale. L’Inghilterra, il mondo, non avevano mai visto niente di simile. Ci fu a Londra chi temé l’inizio di una rivoluzione. Ma tutto ciò che gli inglesi chiedevano era che anche la loro arcigna regina piangesse assieme a loro, e quando lei finalmente dopo una settimana di silenzio si piegò a farlo, alla vigilia del funerale il 6 settembre, i sudditi tornarono disciplinati alle loro vite di sempre e alla consueta venerazione della Corona. Solo in apparenza non cambiò nulla. In realtà i mutamenti che Diana da viva non era riuscita a far digerire ai reali parenti acquisiti – meno protocollo e più empatia – , furono resi inevitabili proprio dalla sua morte. La monarchia inglese non sarebbe sopravvissuta dieci secoli se non sapesse come i giunchi piegarsi sotto il vento, e assumere la forma che la corrente irresistibile dei tempi ogni volta le impone di nuovo. Diana non c’è più, e la sua scomparsa così precoce ha privato il mondo di una sorgente di grazia che scaturiva direttamente dalla sua bellezza e dalla sua umanità. Sarebbe sciocco farne un santino ma non ho dubbi che se fosse vissuta sarebbe stata una forza per il bene in questo nostro mondo scassato. È invece il suo fantasma che ancora abita, e agita, i palazzi di Londra. E ogni volta che una nuova faglia di frattura minaccia di aprirsi nella famiglia reale è la sua vicenda che viene subito evocata, come in un rituale scaramantico per allontanare il ripetersi dalla tragedia. Davanti alla sua bara, Elisabetta II disse pubblicamente, in un memorabile auto-da-fé, che la vita di Diana offriva una lezione per tutti, «io per prima«. Venticinque anni dopo, è inevitabile chiedersi quanto quell’impegno sia stato onorato. È fuori discussione che molto di quanto accaduto in questo quarto di secolo all’ombra del trono non si sarebbe mai verificato senza la tragica fine della principessa. A cominciare dalle libere nozze dei suoi due figli. Libere perché sottratte alle antiche convenienze dinastiche e alle feroci catene dell’etichetta e del rango. Nonna Elisabetta, gravata della colpa dello sciagurato matrimonio combinato dell’erede Carlo, non solo ha accettato le spose borghesi dei nipoti ma le ha accolte con evidente compiacimento, dettato più che dai moti del cuore dal freddo calcolo politico. La regina è perfettamente consapevole che la morte prematura di Diana ha cambiato la stessa fonte di legittimità del trono. Non sta più in un passato di grandezza imperiale del tutto sconosciuto alla maggior parte degli inglesi viventi. È piuttosto la convinzione che l’eredità di Diana, vilipesa da viva, sia stata raccolta e protetta a rendere oggi i Windsor accettabili ai sudditi. E l’eredità spirituale della principessa, la sua invocazione di una monarchia finalmente capace di essere in touch, vicina e partecipe ai bisogni della gente, è visivamente, fisicamente incarnata nei suoi figli. In uno degli abituali paradossi della storia, la fine della «principessa del popolo» servirà a puntellare la sopravvivenza della dinastia. Ma la nemesi è sempre in agguato. Proprio in questo venticinquesimo anniversario della scomparsa di Diana, la casata dei Windsor appare come non mai incerta del futuro. Perfino i figli della principessa non si parlano più, e ricorderanno la madre ognuno per conto suo. Il peso del secolo si va facendo insostenibile per le spalle stanche di Elisabetta. E prima di re Guglielmo V lo scettro toccherà a re Carlo III: solo il cielo sa come reagiranno i sudditi. Chiusa nell’amata Balmoral, la regina sofferente aspetta l’arrivo del cupo autunno scozzese, e forse si chiede se non coinciderà con quello della monarchia.