La carica dei cugini dietro William

Un re deve avere una regina al suo fianco, e un principe una principessa. Detta così, sembra una banalità, ma per coglierne appieno il significato bisognava trovarsi nei giardini di Buckingham Palace in un pomeriggio londinese di maggio più piovoso del solito, in mezzo a una folla di migliaia di persone che attendeva eccitata l’apparizione del principe William. Toccava infatti all’erede al trono fare il padrone di casa per uno di quei grandi eventi della season, la stagione mondana, che sono i tradizionali garden party reali di inizio estate (ammesso che una cosa del genere esista in Inghilterra…) . I sudditi meritevoli di questo onore hanno la possibilità, almeno una volta nella vita, di prendere un tè nel parco della reggia con Sua Maestà o i suoi famigliari più stretti. In assenza di Carlo, nell’occasione la stella dello show era il principe di Galles.
Il nero cilindro dell’abito da cerimonia calcato in testa, alto e snello nel suo morning coat (o tight, come lo chiamiamo noi) sotto l’ombrello spalancato, la evidente solitudine di William senza la sua Catherine, costretta fuori scena dalla malattia, colpiva il cuore di chiunque ne avesse un briciolo in petto. Quando la banda delle Guardie reali ha attaccato l’inno nazionale era facile immaginare cosa passasse per la testa del principe alle note familiari di God Save the King. E da salvare, in effetti, non c’è solo il re.
Allo spegnersi della musica, però, è apparso chiaro che William aveva chiesto e ottenuto rinforzi. Assieme a lui sono scesi in mezzo alla folla i cugini Peter e Sara Philip, figli della principessa Anna, con il marito di Zara, il campione di rugby Mike Tindall, una stella del suo sport e un beniamino del pubblico inglese specie dopo aver partecipato pure alla versione locale dell’Isola dei Famosi (per un cachet di circa 300 mila euro). Con loro, anche le principesse Beatrice e Eugenie, figlie del reietto Andrea duca di York. Nessuno di loro era nei giardini di Buckingham come «working Royals», e infatti la Circolare ufficiale di Corte non registrava la loro presenza, ma era evidente che stavano lì a dare manforte al cugino. Tutti e cinque «si lavoravano» efficacemente la folla al seguito del futuro re, e le due giovani York (le più vicine a Harry ) si prestavano sorridenti a innumerevoli selfie.
In breve, sudditi estasiati e osservatori interessati hanno condiviso l’identica sensazione dell’arrivo di una nuova generazione di Windsor sul proscenio reale, in grado di rimpolpare una famiglia reale a questo punto anche troppo «dimagrita» (decisamente oltre le intenzioni di Carlo). I giornali inglesi, che adorano le frasi a effetto, hanno già ribattezzato il quintetto «Team W», la Squadra di William. Con un’età che varia dai 34 ai 46 anni, i cugini Windsor si sono evidentemente lasciati alle spalle l’era dei party selvaggi ma posseggono ancora intatte riserve di energia e voglia di divertirsi, che servono bene ad alleggerire, nell’interesse del trono, la plumbea atmosfera della famiglia reale in questi mesi.
La prontezza e il calore con cui i cugini hanno accolto la richiesta d’aiuto di un William ovviamente angosciato (a dispetto dell’obbligo di far buon viso nell’avversità), fa risaltare l’egoismo e l’insensibilità del fratello minore. Nella sua rapida apparizione londinese di quarantott’ore, a inizio maggio, Harry ha fatto diffondere dal suo portavoce la storia che il padre monarca non poteva vederlo a causa della sua agenda troppo fitta di impegni. Il sottinteso era chiaro: il re non ha voluto trovare nemmeno cinque minuti per il figlio autoesiliato.
È una versione che comprensibilmente ha fatto infuriare Carlo, perché era vero proprio il contrario. È stato Harry a rifiutare l’invito a soggiornare nel palazzo reale di St. James, in pratica di fronte alla residenza del padre a Clarence House, sistemazione che avrebbe permesso ai due di vedersi molto più facilmente. Ma il duca paranoico avrebbe detto di no perché non si sentiva abbastanza al sicuro senza avere accanto le sue guardie del corpo armate, e ha preferito perciò optare per un albergo. Come se a Londra potesse esserci posto più sicuro di un palazzo reale guardato a vista da plotoni di fantaccini e cavalieri della Divisione delle Guardie.
Per i partigiani di una riconciliazione tra i fratelli l’episodio dovrebbe bastare a testimoniare l’esiguità delle loro speranze. Nel garden party di Buckingham Palace gli inglesi hanno visto i volti della Corte del futuro re William V. E appaiono sufficientemente decenti da spingere parecchi a un’informale integrazione dell’inno nazionale: oltre al Re , God save anche «Team W».