Il commento

La crisi della Svizzera: dal teatro dei sogni al teatro dell'assurdo

La parentesi felice ed entusiasmante di Euro 2024 ha lasciato spazio a fragilità e incomprensioni non nuove sotto la gestione di Murat Yakin
Massimo Solari
13.10.2024 15:00

Little Manchester. Per molti anni Leskovac è stata definita così, complice un’industria tessile che a partire dal XIX secolo ha raggiunto volumi inferiori solo a quella del centro inglese. Peccato che nel sud della Serbia la nazionale svizzera non abbia trovato anche il teatro dei sogni e con esso un palcoscenico per tornare a sentirsi protagonista all’altezza della situazione. Una primattrice meritevole di applausi e riconoscimenti. Come avvenuto appena quattro mesi fa. Euro 2024, al contrario, sembra essere stato inghiottito da un incubo. La scena è sempre quella continentale, ma la selezione di Murat Yakin ha smarrito completamente il filo del discorso. Sfilacciata, appunto, e incapace di rammentare le battute che tanto avevano suscitato entusiasmo quest’estate. No, non ci divertiamo più. Anzi, a fronte delle tre sconfitte senza appello in Nations League avvertiamo – minacciosa – una sensazione più vicina alla depressione. E lo 0 in classifica, si badi bene, costituisce il minore dei problemi.

Altri sintomi devono preoccupare. Poiché della coerenza e del brio osservati in Germania, nell’ultimo mese non abbiamo colto nemmeno le sfumature. Fragili, di nuovo. Ed è la terza volta – su uno spettro che abbraccia più partite – che accade sotto la guida di Murat Yakin. Ecco perché è giusto interrogarsi sulla reale consistenza del gruppo elvetico. Ecco perché è necessario chiedersi se lo stato di grazia che ha accompagnato le prestazioni all’ultimo Europeo abbia più a che fare con una dimensione transitoria, quasi di finzione, a differenza di un’incongruenza di fondo. Un’incongruenza terribilmente tangibile, proprio alla luce della sua riconoscibilità in più momenti dell’attuale gestione tecnica. Non è la prima volta, dicevamo, che la Svizzera di Yakin fatica così tanto sul piano dei contenuti e della volontà. Ci era capitato nella prima parte della scorsa edizione di Nations League e – soprattutto – era successo lungo le qualificazioni a Euro 2024. Siamo ritornati lì, indietro di parecchie caselle quindi, con una difesa vulnerabile, un possesso palla fine a se stesso e una fase offensiva inconcludente. Mentre ad ammantare il tutto, come un velo di tristezza, è un atteggiamento che non supera la sufficienza.

Le colpe del commissario tecnico, detto altrimenti, finiscono laddove emergono le lacune dei singoli. Sul piano qualitativo e, certo, pure mentale. Entrambe le parti, tuttavia, condividono un brutto vizio: la ricerca di alibi. «Diversi episodi ci giocano contro» ha sostenuto a più riprese Yakin, a margine dell’indifendibile 2-0 subito contro la Serbia. «Non è una scusa, ma è uno dei peggiori campi su cui abbia mai giocato» ha affermato da parte sua Akanji. «Abbiamo perso molta esperienza a causa dei ritiri di Sommer, Shaqiri e Schär e il processo di stabilizzazione non avviene da un giorno all'altro» ha aggiunto ancora il ct, almeno qui non a torto. Se la narrazione scelta è questa, tuttavia, si abbia l’onestà intellettuale di riconoscere che all’Europeo tanto ha giocato a favore della Svizzera. Un paio di scelte tattiche azzeccate – Aebischer largo a sinistra su tutti – ora superate dagli eventi. Il contesto luccicante e la gloria in palio, quasi inesistenti in Nations League e però da sostituire con delle motivazioni e una dignità di altra natura. La fiducia accumulata dai giocatori a livello di club, enorme in giugno per chi volava con Leverkusen e Bologna per esempio, decisamente al ribasso in questa fase.

Che poi, sono gli stessi rossocrociati a contraddirsi. Ammettendo indirettamente il cuore del problema. Siamo stati ridimensionati da una Serbia modesta, per certi versi più disorientata di noi dopo un Euro che ha prodotto non pochi scossoni. E – citiamo – gli uomini di Stojkovic sono stati «più determinati, più furbi, più solidi». Più tutto, insomma. Ebbene, non assumersene la responsabilità, per come la pochezza delle idee ha facilitato il compito dell’avversario, e a fronte di fervori individuali opposti (Mitrovic, Milenkovic e Pavlovic da un lato, Embolo e Akanji dall’altro), sa tanto di teatro dell’assurdo.  

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