Il commento

«L'età dell'oro» promessa da Trump e gli ostacoli

Anni di forte crescita ridurrebbero sia il debito pubblico sia quello di famiglie e imprese, lasciando tuttavia gli Stati uniti primi e soli
Alfonso Tuor
22.01.2025 06:00

«L’età dell’oro» promessa lunedì dal presidente Donald Trump dovrà riuscire a superare molti ostacoli e in primo luogo la montagna di debiti su cui si regge «l’eccezionalismo americano». Infatti esso si fonda su una forte spinta alla crescita economica da parte della spesa pubblica che negli anni della prima amministrazione Trump e nel quadriennio di Biden ha portato il debito pubblico statunitense al 120% del PIL, cui si aggiunge quello di famiglie ed imprese che ha fatto schizzare il debito complessivo al 255%. La sostenibilità di questo indebitamento dipende dal costo del suo servizio. Ora però si nota un fenomeno inusuale: sebbene dall’autunno dell’anno scorso la banca centrale americana abbia diminuito i tassi di interesse, il costo del denaro non scende ed addirittura dà segni di rialzo (i tassi ipotecari trentennali hanno superato il 7% e quelli decennali si stanno avvicinando al 5%). Questi livelli sono preoccupanti, poiché nell’ultimo decennio i tassi di interesse si aggiravano attorno al 3% e perché le famiglie hanno già usato i soldi risparmiati durante la pandemia e hanno ripreso ad indebitarsi alla grande tramite le carte di credito. Questi aspetti critici non sono sfuggiti alla nuova amministrazione: il segretario al Commercio Howard Lutnick ha dichiarato che queste pressioni del mercato possono essere contenute, perché le banche centrali di altri Paesi hanno bisogno di acquistare e di tenere nelle loro riserve le obbligazioni americane e poiché gli investitori stranieri continuano ad aver fiducia nel debito statunitense. Howard Lutnick non l’ha detto, ma è chiaro che in campo può scendere anche la Federal Reserve che, acquistando massicciamente le obbligazioni statali, può far scendere i tassi di interesse. La «medicina» può certamente funzionare a condizione che diminuiscano le aspettative di un rialzo dell’inflazione, che non diminuiscono, come invece era previsto, e che risentono della promessa di un nuovo taglio delle tasse e della minaccia di dazi doganali sulle importazioni che farebbero aumentare i prezzi negli Stati Uniti. Queste misure renderebbero più difficile concretizzare il desiderio dell’amministrazione di spingere al ribasso il dollaro per ridurre il deficit commerciale. Sarà dunque di primaria importanza come Donald Trump riuscirà a superare questa trappola e ad evitare una nuova crisi finanziaria dovuta all’eccesso di debito simile a quella dei subprime del 2008.

Se avrà successo, si potrebbe concretizzare l’età dell’oro promessa, poiché anni di forte crescita ridurrebbero sia il debito pubblico sia quello di famiglie e imprese. Ciò però accadrebbe succhiando risorse dagli altri Paesi. Quindi gli Stati Uniti rischierebbero non solo di essere primi ma anche soli. Invece se ci saranno solo soluzioni pasticciate, il problema sarebbe solo rinviato, anche perché l’eccesso di debito non è solo un problema americano, ma anche cinese e degli altri Paesi occidentali. Ed è proprio questa stortura a provocare l’attuale fragilità delle economie e la sempre maggiore influenza dei mercati finanziari, come pure l’aumento delle diseguaglianze con la crescita di una schiera di persone che vive di rendita.

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