L'ha elevata, ora spetta a Murat Yakin risollevare la Nazionale
La Svizzera ha vinto due delle ultime quattordici partite ufficiali. Basterebbe questo dato per far risuonare più di un campanello d’allarme. Dovrebbe bastare. E invece i protagonisti continuano a spostare accenti e riflettori sui successi, così come sul contesto in cui hanno preso vita. Sì, siamo ancora fermi a Euro 2024, all’esordio riuscito contro l’Ungheria – con tanto di mosse a sorpresa del ct – e alla lezione impartita all’Italia negli ottavi di finale. E la retrocessione nella lega cadetta della Nations League? E la disordinata gestione della rosa registrata negli ultimi, tristi mesi? E la mediocrità, sul piano del gioco e dell’atteggiamento, portata in campo? «In ogni caso la relegazione non costituirebbe un dramma» avevano tenuto a precisare sia Pierluigi Tami, sia Murat Yakin, a ridosso della sfida decisiva contro la Serbia. «Grazie a Dio, si tratta solo della Nations» ha aggiunto Granit Xhaka dopo l’1-1 del Letzigrund che ha effettivamente condannato i rossocrociati. Direttore delle squadre nazionali, commissario tecnico e capitano non hanno tutti i torti. Nella forma, non è accaduto nulla di grave. Invece che giocare a Copenaghen e Leskovac, nell’autunno del 2026 gli elvetici si recheranno a Lubiana, Reykjavik o Belfast. Cosa che per altro accade, in modo più o meno ricorrente, lungo le campagne di qualificazione ai grandi tornei. E però, signori, gli obiettivi dichiarati erano altri. La Svizzera voleva conquistare almeno i quarti di finale della competizione e, al contempo, procedere a un ringiovanimento della selezione. La missione è stata fallimentare su ambo i fronti. Non solo. Circa il valore della Nations League, e più in generale dei test contro le migliori formazioni del continente, Tami non si è mai nascosto in passato, ritenendo queste partite fondamentali per forgiare la Svizzera e preparare al meglio la rincorsa ai Mondiali. Ecco, visto sotto questa particolare luce l’autunno di Xhaka e compagni non può essere ritenuto rassicurante. E men che meno coerente con quanto ammirato e applaudito in Germania.
Ci si è aggrappati un po’ a tutto per ridimensionare l’assenza di risultati e le fragilità della proposta sul terreno da gioco. Dagli errori arbitrali (che per carità non sono mancati) agli infortuni (pure oggettivi). Insomma, la Nazionale è stata chiamata ad adattarsi e a fronteggiare le avversità. Peccato che la risposta fornita non abbia mai prodotto i 3 punti. E, al proposito, è emblematico che nemmeno la prestazione garantita venerdì a Zurigo, la migliore per distacco nel girone e al cospetto dell’avversario più debole del lotto, si sia tradotta in un tabellino felice.
Troppo spesso, da settembre a oggi, intenzioni e progettualità rossocrociate sono apparse incomprensibili. Per dire: vi sono ruoli e gerarchie che rimangono avvolti dalla nebbia. E, appunto, non sembra che si sia agito in modo chiaro per ovviare alla situazione. Menzionare la precarietà cronica che interessa gli esterni di difesa suona oramai come un’ovvietà, mentre l’improvvisa promozione di Aurèle Amenda al centro del reparto arretrato ha confermato la visione ondivaga dello staff tecnico. Yakin ha elogiato con trasporto la prova del 21.enne, fra i migliori con la Serbia, e però val la pena ricordare che in settembre la scommessa aveva 29 anni e si chiamava Gregory Wütrich.
È dunque un terreno instabile, oltre che segnato dalle profonde buche lasciate da Sommer, Shaqiri e Schär, quello su cui la Svizzera innesterà le qualificazioni ai Mondiali del 2026. Per fortuna lo potrà fare da testa di serie, ma non sarà questa etichetta ad assicurare ai rossocrociati ciò che più conta: le vittorie. Il fatto di averne raccolte solo due in quattordici partite ufficiali deve allarmare chi dirige la squadra. Grazie a un Europeo entusiasmante Yakin era riuscito a far scordare le esitazioni e le frizioni emerse un anno fa, quando il futuro appariva incerto e il torneo tedesco una specie di trappolone. Il credito e il rinnovo guadagnati con merito tra giugno e luglio, tuttavia, si stanno lentamente sgretolando. E allora spetta al commissario tecnico, a lui per primo, risollevare una squadra che in queste ore osserva con sguardo perso, persino depresso, il Pico del Teide e la bellezza selvaggia di Tenerife.