Il commento

Ma la polemica, tra chi si abbuffa della stessa torta, è paradossale

Le aspre critiche al calendario mosse da alcune star del pallone fanno a pugni con gli interessi dei loro stessi club e non rappresentano di certo il parere della maggioranza dei calciatori
Massimo Solari
19.09.2024 06:00

Su un punto, va loro riconosciuto, Rodri, Alisson, Akanji e soci illustri hanno ragione. «La cosa più saggia sarebbe che tutti gli attori coinvolti e le persone che sono responsabili della stesura del calendario si sedessero insieme e ascoltassero il parere altrui, compreso quello dei giocatori». Non fa una grinza. Ma soprattutto è il minimo che si possa chiedere ai potenti del calcio di fronte a un dibattito quantomeno paradossale. Stando a diverse star della Premier League, uno sciopero da parte dei giocatori non sarebbe così lontano. Oddio, non è la prima volta che il tema del calendario sovraccaricato da partite e nuove scintillanti competizioni fa capolino. Nell’aprile del 2021, e senza girarci troppo attorno, Pep Guardiola affermò che UEFA e FIFA stavano «ammazzando i calciatori». Complice l’avvio della nuova Champions League, gonfiata con 52 incontri in più rispetto alle passate edizioni, le prese di posizione si stanno però rinvigorendo.

Ma di chi sono le voci che tanto fanno rumore in queste ore? Beh, non della maggioranza dei giocatori - oltre 50 mila - che militano nei campionati europei e che numericamente giustificherebbero un’azione sindacale su larga scala. No, parliamo di una frangia che rappresenta - o meglio potrebbe rappresentare - qualche centinaio di elementi. Una frangia che, nel caso di Rodri, viaggia a una velocità di 180.000 sterline a settimana. Lo stipendio del centrocampista del Manchester City e della Spagna, per quanto non trascurabile agli occhi di milioni di semplici lavoratori, non costituisce comunque il cuore della questione.

Rodri, Akanji, Guardiola, così come i «barricaderi» di Liverpool o Paris Saint-Germain puntano il dito contro chi governa il pallone a livello continentale e mondiale. Non hanno tutti i torti, certo, ma farebbero bene a rivolgersi con altrettanta fermezza ai propri superiori. Nel presentare i contenuti della rivoluzionata Champions, per dire, il presidente della UEFA Aleksander Ceferin ricordava come i maggiori club avessero inizialmente auspicato 10 partite (e non 8) nella prima fase della competizione. Non solo. Se, a giusta ragione, si ritiene che disputare oltre 60 match in un anno equivalga a una sentenza per il fisico dell’individuo e lo spettacolo collettivo, crediamo che le squadre e gli staff tecnici interessati dispongano di rose sufficientemente ampie per garantire un carico di lavoro sostenibile a chi scende in campo.

Non si tratta di banalizzare l’oggetto della lamentela. Anzi. Ignorare le potenziali conseguenze - per il corpo e per la mente - di 75 gare in dodici mesi, tra club e nazionale, sarebbe pure superficiale e ingeneroso verso chi ha trascorso l’88% dell’ultimo anno sul «posto di lavoro», poco importa se con le scarpette ai piedi, in palestra, su un pullman o un aereo. Le cifre e le proiezioni elaborate dalla FIFPro - l’associazione mantello dei calciatori professionisti - devono far riflettere. Così come il differente grado di intensità e divertimento registrato dal Mondiale del 2022, disputato a ridosso del Natale, e dai recenti Europei che hanno fatto calare il sipario su una lunga stagione. Ma allora si mettano sul piatto della bilancia pure le tournée in Australia, Asia e Stati Uniti che hanno preceduto e seguito la rassegna continentale disputata in Germania.

Lo sciopero, dicevamo. Il fatto che nel mirino dei migliori giocatori del pianeta possa finire il Mondiale per club programmato tra il 15 giugno e il 13 luglio del 2025 potrebbe avere il merito di smuovere le acque. Gianni Infantino non può in effetti permettersi una figuraccia con la sua nuova creatura. Il patron della FIFA, ne siamo certi, troverà tuttavia le giuste parole e i necessari strumenti gattopardeschi. E così ci ritroveremo daccapo, all’alba di un’altra stagione carica di eventi e - con il benestare dei giocatori chiamati a rinnovare lauti contratti - sponsorizzata a suon di miliardi di euro da tv e multinazionali del commercio. In mezzo ci siamo noi. Un po’ tifosi, un po’ osservatori. Intontiti di fronte al botta e risposta di interlocutori che si abbuffano della stessa torta per poi lamentarsi del gusto e della ricetta. Quello in giacca e cravatta assicura che il calcio del 2024-25 sarà più appassionante e ammantato da una salutare incertezza. Quello in maglietta e pantaloncini, affaticato e però sempre più ricco, avverte che in assenza di riposo l’offerta sarà scadente. Mettetevi d’accordo. 

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