Padri e figli a Londra

Il brindisi è previsto il 19 maggio, un mese prima del nono anniversario dello sciagurato referendum sulla Brexit. Che differenza, meno di un decennio dopo. Perché quel giorno a Londra andrà finalmente in scena il «reset», come lo chiamano gli inglesi, delle relazioni con l’Europa. Del resto sono mesi che nei caffè attorno al quartier generale dell’Unione, a Bruxelles, sono tornati a farsi vedere gli inviati del governo Starmer. I negoziati sono andati avanti nella massima segretezza, ma in vista del summit di maggio, definito un vero e proprio spartiacque, si delineano i contorni dell’accordo.
Unione Europea e Gran Bretagna si legano in uno storico patto di difesa e sicurezza, accompagnato anche da nuove e più vaste relazioni commerciali. Londra non torna nell’Unione (tema per la prossima generazione) ma davanti alla deriva americana ritrova nella UE un alleato sicuro e un partner commerciale privilegiato. Nonostante i tempi cupi, c’è motivo di brindare per gli europei sull’una e l’altra sponda della Manica.
Di questo nuovo europeismo britannico si era mostrato perfetto interprete Carlo III nelle sue recenti «vacanze romane». Forse mai si era visto un sovrano inglese così apertamente innamorato della cultura italiana, e pure così convinto che la comune appartenenza allo stesso continente segni anche una condivisione di interessi e di valori. Certo, il re non determina la politica del suo governo, ma il contrario invece è vero, e autorizza a concludere che l’ideale abbraccio del monarca all’Italia e all’Europa avesse la benedizione di Downing Street.
Non è dato sapere se, tornato a Buckingham, Sua Maestà abbia fatto ricorso al dono di Giorgia Meloni per far fronte – come da lei consigliato – ai momenti di depressione. Temo purtroppo che il barattolo di Nutella regalatogli dalla premier italiana risulti insufficiente rispetto ai grattacapi e all’amarezza che il figlio minore continua a dargli. Proprio mentre il padre compiva la sua trionfale visita di Stato nella penisola, Harry si è fatto vedere di nuovo a Londra, diretto alla destinazione ormai unica e abituale di questi suoi ritorni in patria: il tribunale.
Il duca di Sussex non ha mancato l’occasione della causa intentata al governo, che gli nega la protezione di polizia, per attaccare invece una volta di più la famiglia e in particolare il re. All’uscita dall’Alta Corte, Harry scuro in volto ha sibilato che la revoca della scorta, motivata da Scotland Yard con il suo abbandono di funzioni ufficiali, avesse in realtà un altro obiettivo: quello di «intrappolarlo nella famiglia reale». Di conseguenza, ha concluso, basterebbe che il re intervenisse sulla polizia per ripristinare la protezione per sé e la sua famiglia. Il costo naturalmente prelevato dalle tasche dei contribuenti.
A Buckingham Palace si sussurra che le dichiarazioni abbiano lasciato orripilato il monarca. Figuriamoci, dicono i suoi collaboratori, se il re si sogna mai di interferire nel lavoro di un tribunale. Harry ha fatto causa contro il governo di Sua Maestà per ottenere un vantaggio famigliare a spese del pubblico, e l’idea che Sua Maestà possa personalmente esercitare pressioni sui giudici in favore di suo figlio è roba da dittatori da operetta più che da moderno monarca costituzionale. Risultato: padre e figlio non si vedono più da 14 mesi, e per evitare sospetti di favoritismo Carlo si sente costretto a rifiutare anche le chiamate telefoniche di Harry. Che di conseguenza è tenuto totalmente all’oscuro delle condizioni di salute paterne (giudicate preoccupanti). Il fossato tra l’«esule americano» e la famiglia si è fatto, se possibile, anche più profondo, con buona pace di chi ancora sogna una riconciliazione.
Per fortuna non tutto è rancore anche in casa Windsor. Non si può trattenere un sorriso empatico davanti alle immagini di William che esulta e soffre assieme al primogenito George tra i tifosi dell’Aston Villa in trasferta a Parigi. La squadra del cuore ha perso, ma loro due hanno vinto. Era uno spettacolo vedere il principe abbracciare stretto il suo bambino e baciarlo al momento del gol, in un’aperta manifestazione dell’affetto che li lega. «Questi sono ricordi veramente importanti», ha detto lui alla fine, «portare qui George stanotte vuol dire moltissimo per me». Nessuno ancora può dire che tipo di re sarà William. Ma già sappiamo - e soprattutto sa suo figlio - che genere di padre.