Il commento

Se Kate non è il suo guardaroba

Quando la principessa del Galles, pochi giorni fa, ha visitato la prigione femminile di Styal, nel Cheshire, il seguito abituale di royal watcher ha notato qualcosa di famigliare nel suo abbigliamento
Antonio Caprarica
20.02.2025 06:00

Quando la principessa del Galles, pochi giorni fa, ha visitato la prigione femminile di Styal, nel Cheshire, il seguito abituale di royal watcher ha notato qualcosa di famigliare nel suo abbigliamento. In effetti, il cappotto bordeaux a scacchi che indossava era proprio lo stesso che portava il mese scorso nella visita al Royal Marsden Hospital, il centro di ricerca anticancro dove - ha rivelato Catherine infrangendo la reale regola del silenzio - lei stessa si era sottoposta a chemioterapia. E non solo: pure il maglione a collo alto nonché la gonna sotto il paltò sembravano identici a quelli visti in ospedale. Che succede? A dispetto della rendita multimilionaria del ducato di Cornovaglia, i Galles sono costretti a risparmiare sul guardaroba? Ovviamente non è questione di soldi ma di strategia dell’immagine. La principessa Catherine tornata sulla scena pubblica dopo quasi un anno di terapia oncologica è davvero, come ha detto chiaramente lei stessa, una persona diversa. O per essere più precisi, una persona che ha acquisito «una nuova prospettiva su tutto». In modo particolare, sul suo ruolo e su ciò che rappresenta. Un manichino, sia pur nobilitato dall’espressione «icona di stile»? Una influencer della Ditta Windsor ? O una donna del nostro tempo capace di usare il suo status privilegiato per tornare utile a chi ha bisogno di aiuto, e per lei in primis l’infanzia disagiata?  

Catherine ci sta offrendo visivamente la sua risposta . Aveva chiesto che i media si occupassero di ciò che dice anziché di quel che indossa. Non le hanno dato retta. Allora Kensington Palace ha fatto sapere che non avrebbe più comunicato i dettagli del suo abbigliamento: apriti cielo! I tabloid l’hanno accusata di minare gli interessi dell’industria della moda britannica , che ha in lei una testimonial d’eccezione, e il Palazzo ha dovuto fare marcia indietro. È a questo punto che la principessa ha fatto ricorso alla nuova strategia, presa a prestito dal manuale di molte celebrità: esibire giorno dopo giorno indumenti simili per rendere meno interessanti, e meno vendibili, le foto dei paparazzi. Voi direte che è quel che facciamo normalmente noi gente comune. Ma che lo faccia una donna destinata al trono, se non rivoluzionario è almeno confortante. Soprattutto perché la mossa è finalizzata precisamente a indirizzare l’attenzione sul lavoro che fa, o vuole fare, e non su quello che indossa. La «nuova Kate» lascia alquanto sbalorditi i cronisti che la seguono da anni, e la ricordano sempre un po’ esitante, per natura timida come lei aveva confessato, chiaramente a disagio ogni volta che doveva parlare in pubblico. Adesso è un’altra donna. Sicura di sé, autorevole, determinata a fare le cose a modo suo. Ne è una prova la visita alla prigione di Styal, che ospita condannate con bimbi piccoli.

Nessuno finora l’aveva vista e sentita parlare con tanta foga e così a lungo sul problema che sembra starle a cuore più di ogni altro : la cura dell’infanzia, «l’importanza dei primi anni» per la formazione di un decente essere umano. «Trovo sempre frustrante che si faccia fatica a capirlo», ha detto alle donne che le stavano attorno, criticando apertamente istituzioni e società perché fanno troppo poco per le detenute e i loro bambini prima che sia troppo tardi.

A Buckingham Palace parecchi hanno storto il naso. La regola della casa è che i reali fanno domande e prestano orecchio ma non esprimono opinioni personali, per evitare il rischio di suscitare controversie. Era quello che faceva abitualmente anche Catherine, con il risultato che tutto quello che restava di molti suoi impegni pubblici erano poche parole di circostanza. Poteva andar bene per Elisabetta, venerata come un Buddha reincarnato . Non per una regina del XXI secolo, quale prima o poi diventerà l’ex miss Middleton.

Lo storico David Starkey, repubblicano e trumpiano, già recita il de profundis per una monarchia che a suo avviso «sta svanendo nell’irrilevanza». Ce l’ha con re Carlo accusato di cedimento alla cultura woke, notoriamente odiata dalla destra conservatrice. Ma pure con William che al più potrebbe fare, a fatica, «l’allenatore di una squadra di calcio di seconda divisione». Starkey è ormai un vecchio bisbetico ma i suoi dubbi sulla durata del trono sono largamente diffusi. Kate al momento sembra l’unico antidoto efficace. Sarebbe una notevole ironia della storia se a salvare la più elitaria delle istituzioni fosse non una «principessa del popolo», come fu battezzata Diana, ma la prima regina venuta dal popolo.