Il bowling di Trump, gli scacchi di Putin

La proposta di una tregua di trenta giorni lanciata dall’Ucraina martedì scorso – dopo le consultazioni a Gedda con l’alleato americano – era nata male e male ha rischiato di finire. Ma forse, questa volta, c’è davvero uno spiraglio, una concreta ragione per affermare che la strada verso la pace sarà certo lunga, ma che almeno, al netto di ripensamenti, le parti belligeranti hanno deciso di imboccarla sul serio, dopo tre anni abbondanti senza un solo cessate il fuoco. Lo si evince dalle inattese parole del presidente russo Putin, pronunciate ieri pomeriggio, quando sulla proposta di Kiev e di Washington era già calato un pesante gelo diplomatico e molti media iniziavano a considerarla respinta al mittente. Putin, insomma, nonostante i toni aggressivi di Trump delle ore precedenti («O Mosca accetta la tregua o ci saranno sanzioni finanziarie devastanti»), ha rivelato che anche per la Russia è giunto il momento di invertire la rotta e di essere lui stesso «d’accordo con le proposte per fermare le ostilità». Non era scontato lo facesse, in una congiuntura in cui le truppe russe stanno ancora avanzando sul terreno senza sostanziali problemi e in cui la liberazione della regione del Kursk, contro-invasa dagli ucraini, è ormai entrata nella fase finale. Si tratta, a nostra memoria, di una prima assoluta. Naturalmente, riguardo la proposta unilaterale partita da Gedda, il presidente russo si è premurato di precisare che essa rispecchia solo l’approccio di Kiev e che, prima di accettarla, saranno necessarie consultazioni con gli Stati Uniti. Ha anche menzionato una possibile telefonata tra lui e Trump, sottolineando così, ancora una volta, come Russia e Stati Uniti stiano lavorando sulla «questione Ucraina» al di sopra delle teste sia del presidente ucraino Zelensky sia della Commissione europea e del Parlamento UE. In particolare l’Unione europea sembra non aver toccato palla: ci si chiede dunque quale ruolo operativo potrà avere in futuro verso un Paese, l’Ucraina, che fino a poco tempo fa Bruxelles dichiarava di voler accogliere, senza se e senza ma, nel consesso UE.
Sul tavolo, ora, ci sono sfide difficili: trovare il modo di inserire nella proposta di tregua temporanea anche gli interessi di Mosca, che sono decisamente pesanti e ben poco negoziabili – praticamente una resa incondizionata dell’avversario – e studiare una strategia che permetta a un eventuale cessate il fuoco di trasformarsi nella premessa, come richiesto da Putin, di «una pace duratura». Da discutere, anche, per il Cremlino, «l’eliminazione delle cause iniziali di questa crisi»: il che significa innanzitutto riconoscerle. Non sarà impresa da poco, dopo tre anni di polarizzazione politica e mediatica. E, ça va sans dire, di massacri al fronte.
Quello che si può constatare fin da subito, però, e speriamo di non doverci ricredere, è la «vittoria» del metodo Trump. Il quale, in meno di due mesi alla Casa Bianca, seguendo strade apparentemente irrazionali o addirittura caotiche, è riuscito a forzare le situazioni in modo tale che, quantomeno, si sbloccassero in una direzione positiva. Certamente, Trump in diplomazia pare amare più il bowling che il suo prediletto golf, sembra cercare ogni volta lo strike perfetto che butti giù tutti i birilli in una volta sola e non sempre ci riesce. Putin, dal canto suo, tradizionalmente gioca a scacchi. Sono due attività molto diverse l’una dall’altra. Se arriverà la tregua, anche solo temporanea, sapremo di essere entrati davvero in una nuova era della pratica diplomatica.