Stati Uniti ed Europa separati in casa

Il lunedì nero delle Borse ha creato scompiglio tra gli investitori, soprattutto quelli medi e piccoli, e tanta preoccupazione tra la gente comune. La sensazione diffusa è che questa crisi dei dazi commerciali sia diversa da quella pandemica, che restò in qualche modo confinata nell’ambito sanitario pur con diversi problemi sociali, e da quella provocata dalla guerra di Putin in Ucraina, che nonostante le ripercussioni energetiche ed economiche sull’Europa resta da noi percepita sì come drammatica e sanguinosa ma pure, in qualche modo, «lontana». Questa crisi, di fatto, è diversa perché mai come negli ultimi giorni sentiamo che qualcosa sta colpendo al cuore l’Occidente e la storica relazione Stati Uniti-Europa così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino ad oggi. Donald Trump e il suo vice JD Vance, con le loro frasi sprezzanti indirizzate al Vecchio Continente, trattato alla stregua di un patetico parassita, sono stati volutamente fin troppo chiari. I segnali ci sono tutti, per chi li vuol vedere: è la fine di una lunga storia. Comunque vadano le cose nelle prossime settimane e qualsiasi accordo riescano a ottenere i leader europei che, numerosi, si sono messi in paziente coda per un colloquio alla Casa Bianca, d’ora in poi Stati Uniti ed Europa dovranno vivere cinicamente da separati in casa, in attesa che le tensioni si sciolgano. La traversata non sarà facile, il divorzio (consensuale?) è ormai fortemente probabile. Ed entrambe le parti, lo si vede fin da oggi, vogliono pagare meno alimenti possibile. Forse in futuro – la diplomazia, si spera, avrà concluso il suo lavoro – si tornerà amici. Per chi preferisce un’altra metafora: se questa non è una guerra militare, poco ci manca.
Dal canto suo, Trump si sta giocando il tutto per tutto per tornare a «fare grande l’America» (non l’Occidente né tantomeno l’Europa) come promesso in campagna elettorale. Ma il protezionismo, per un impero come quello USA, assediato da altri imperi che non esitano a proporsi come alternativi, è scommessa ardita. «Fidatevi – ha detto il tycoon agli americani – è la cura per guarire»: un vero azzardo. Se i dazi ridurranno gli scambi con gli Stati Uniti, il dollaro perderà terreno su scala mondiale, a vantaggio di altre valute più amichevoli. Lo scopriremo solo vivendo, ça va sans dire. Alcuni analisti ritengono inoltre che la «voce grossa» di The Donald serva a coprire una fragilità del sistema interno statunitense molto più profonda di quanto si pensi. C’è sicuramente del vero in questa affermazione. Discorso diverso, anzi opposto, per l’Europa, che è stata presa alla sprovvista dalla guerra dei dazi. Isolata dall’Asia sul fronte orientale a causa del conflitto in Ucraina, ora si trova a dover gestire pure il fronte americano. Domenica sera, in una interessante intervista rilasciata al TG della RSI, l’ex consigliere federale Adolf Ogi ha dichiarato che non bisogna farsi prendere dal panico, ma aspettare di vedere come e dove verranno applicati i dazi. E intanto - ha aggiunto - cercare in ogni modo un contatto con Trump, magari coinvolgendo - per raggiungere l’obettivo - personalità di spicco come il fondatore del WEF Klaus Schwab o il presidente della FIFA Gianni Infantino. «Rappresentano due canali privilegiati che vanno sfruttati in un periodo così delicato». La strada è saggia: litigare frontalmente a suon di contro-dazi porterebbe a poco. Gli Stati Uniti sono un partner commerciale troppo importante e, per certi versi, inaggirabile.
Europa e Stati Uniti, come anticipato, dovranno quindi trovare il modo di convivere sotto lo stesso tetto per mere ragioni economiche e non più – sembra proprio – di alleanza politica e culturale. Lo shock che gli europei stanno vivendo in queste ore non è solo dovuto al crollo (peraltro mondiale) delle Borse ma anche alla fine di una relazione pluridecennale e di una globalizzazione unipolare. Una fine preannunciata da molti segnali negli ultimi anni. In un tempo di continui terremoti, ogni nazione, Svizzera compresa, deve trovare il modo di viaggiare sicura sulla propria strada, conscia del fatto che a ogni curva può esserci un crepaccio. Rallentare la velocità, non lasciarsi dettare i tempi da Trump, senza rinnegarlo, potrebbe essere una soluzione.