L'intervista

«I miei amici in Ticino sono furiosi, ma io tiro dritto»

L'ultima intervista del CEO della Posta, che ha parlato della possibilità di consegnare in futuro i giornali nel pomeriggio, ha scatenato un putiferio – Ora Roberto Cirillo ne concede un'altra, ma non cambia i toni
Roberto Cirillo in visita nella redazione del CDT (foto Chiara Zocchetti)
Davide Illarietti
24.09.2023 06:00

Consegna i giornali nelle case di mezza Svizzera, ma non gode di buona stampa. Roberto Cirillo, 52 anni, è il manager ticinese chiamato nel 2019 a «salvare» una Posta in crisi d’immagine, dopo gli scandali legati ad Autopostale e l’allontanamento forzato di Susanne Ruoff. Ha fatto miracoli - oltre che profitti - ma anche tanti tagli dolorosi e qualche «scivolone». L’ultimo questa settimana: in un’intervista al Blick ha dichiarato che in futuro il Gigante Giallo potrebbe consegnare i giornali nel pomeriggio, anziché la mattina come avviene - se non ci sono intoppi - attualmente. Gli editori non l’hanno affatto presa bene.

Signor Cirillo, ha letto le reazioni?
«Certamente, compreso l’editoriale del vostro direttore. Non mi hanno sorpreso».

Allora lei legge i giornali, a differenza di Cassis!
«Li leggo online. Ho cinque abbonamenti a giornali svizzeri e internazionali»

E a che ora legge, se si può chiedere?
«Inizio all’alba e vado avanti a sprazzi nel corso della mattina, poi la sera in treno. Sono quel che si dice un lettore forte».

Eppure non è sembrato così attaccato al diritto all’informazione, con la sua ultima uscita.
«Non è così. Sono un grande sostenitore del diritto all’informazione e penso sia una questione fondamentale, di cui la politica deve occuparsi seriamente. Ma non deve essere relegata a un problema operativo, a carico della Posta».

Ha detto che agli svizzeri non fa differenza, se ricevono il giornale la mattina o la sera. Molti nostri lettori ci hanno scritto indignati, dimostrando che non è vero.
«Allora, facciamo subito delle precisazioni. Non volevo mettere l‘accento sulle abitudini di lettura delle persone, ma su un problema operativo che la Posta, piaccia o no, si trova ad affrontare».

Nel dettaglio?
«Il limite per la consegna dei giornali entro le 12.30, introdotto nel 2021, comporta uno sforzo organizzativo. I turni di lavoro e le risorse umane vanno gestite di conseguenza e questo si traduce in un costo che, con il passare del tempo, ha sempre meno senso».

Non in Ticino. Senza la Posta, qui molte persone rimarrebbero tagliate fuori dal mondo.
«Nel resto della Svizzera le assicuro che il problema è meno sentito. E infatti in altre regioni, dove le consegne del mattino vengono eseguite dagli editori o da spedizionieri privati, non c’è stata la stessa reazione»

La Svizzera è fatta anche di molte valli e zone periferiche, dove la gente vorrebbe leggere il giornale la mattina come fa lei.
«Anche qui vanno fatte delle precisazioni. Io non volevo certo dire che ovunque consegneremo dopo le 12.30. Parlo di circa il 4 per cento della popolazione a cui, se togliessimo questo limite deleterio settimana prossima, le consegne potrebbero arrivare più tardi. Non dico che accadrà, ma che ci sarebbe la possibilità. Comunque è un numero irrisorio a fronte dei costi enormi che la Posta deve sostenere, oggi, per il servizio».

Quindi non era una boutade, c’è un progetto preciso.
«Non è stata affatto una boutade, anche se per ora non abbiamo alcun progetto operativo in tal senso. Noi ci muoviamo nell’ambito del quadro normativo. Ho voluto mettere il discorso sul tavolo, nell’ottica di una definizione delle prospettive future su cui la politica già ora deve chinarsi. Non tra anni, ma nei prossimi mesi».

Si riferisce alla discussione in Parlamento sul servizio pubblico postale 2030+.
«La politica deve decidere cosa fare, non con la distribuzione dei giornali ma con l’informazione, e avere un piano a lungo termine. Non si può continuare a mettere un «cerotto» tramite la Posta su una questione importante come questa che - sono il primo a dirlo - è cruciale in un sistema democratico».

Non è compito della Posta mettere «cerotti» soprattutto quando questi costano un centinaio di milioni all’anno di perdite. Non fa parte del nostro mandato

È importante anche per tanti anziani, che vivono in zone periferiche e non usano internet.
«Senz’altro. Ma ripeto che non è compito della Posta mettere «cerotti» soprattutto quando questi costano un centinaio di milioni all’anno di perdite. Non fa parte del nostro mandato».

Scusi, la Posta non svolge servizio pubblico?
«Siamo un’azienda di proprietà della Confederazione che deve autosostenersi finanziariamente. La Posta deve ottimizzare i servizi ed evitare sprechi, reinvestendo gli utili nel servizio pubblico».

Sotto la sua guida, sembra ci stia riuscendo. Avete però fatto tagli notevoli di personale e di uffici postali.
«Chi lo dice? Che cosa vuol dire notevole? Bisogna guardare i numeri in proporzione. Noi dobbiamo investire almeno 3 miliardi e mezzo in ogni piano strategico, non veniamo finanziati con le tasse».

Anche gli utili però non sono piccoli: 295 milioni l’anno scorso.
«Per un’azienda con un fatturato di 7 miliardi non sono niente, le assicuro. Dobbiamo reinvestirli costantemente per rinnovarci».

Li avete investiti anche in una festa da 3 milioni di franchi con un noto deejay, quest’estate.
«Un evento riuscito e apprezzato dai dipendenti di cui non mi pento assolutamente. Ogni grande azienda ha dei budget dedicati a iniziative simili a beneficio del personale».

Poi avete annunciato nuovi tagli, si parla di centinaia di impieghi a rischio da gennaio.
«I numeri sono speculazioni. E internamente la ristrutturazione era già stata illustrata a inizio anno al personale».

Un’altra voce in crescita è quella del suo stipendio. L’anno scorso ha superato il milione, per la prima volta.
«Non ho problemi a parlarne. Il mio stipendio è lo stesso dall’inizio, il contratto non è cambiato di una virgola e prevede una parte variabile. Non credo che il mio ruolo debba essere remunerato come quello di un postino, il rapporto è 1 a 15, non 1 a 300, mi sembra corretto».

Non teme ora un effetto boomerang da Berna? Si è messo in una posizione scomoda.
«Ho parlato di fatti. Non sono preoccupato».

Sui giornali in ritardo i suoi amici in Ticino come l’hanno presa? Lei è di Novazzano.
«Ho sentito alcuni carissimi amici storici e sono arrabbiatissimi all’idea di non avere il giornale al bar la mattina. Ma sanno che vado avanti comunque. La Posta fa il suo lavoro da 175 anni e deve guardare sempre avanti per migliorare il servizio».

Da quando lei è al timone, crede che l’opinione degli svizzeri sul servizio sia migliorata?
«Purtroppo no. Il servizio è migliorato ma la gente è legata a un’idea vecchia della Posta. C’è una discrepanza. Accettare i cambiamenti non è facile».

Intanto lei rischia di passare alla storia come quello che voleva togliere i giornali dai bar.
«C’è questo rischio. Ma passerò anche come quello che ha introdotto l’e-voting in Svizzera, la posta elettronica e la scheda elettronica del paziente. A un certo punto uno deve decidere per cosa vuole passare».

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