Il commento

Non aprite la porta di Marco Toffaloni

Difficile dimenticare la porta della casa di Marco Toffaloni a Igis (GR) – Una porta che attira e respinge – E che ora è diventata il simbolo di un limite
Davide Illarietti
06.04.2025 10:30

Difficile dimenticare la porta della casa di Marco Toffaloni a Igis, frazione di Landquart. Una porta di metallo grigio abbastanza nuova, all'interno di una palazzina ben tenuta e di recente ristrutturazione (tra l’altro di proprietà comunale). Identica alle porte dei vicini tranne per una sorta di alone - mistero, degrado, muffa - che fuoriusciva sugli stipiti anneriti. È difficile da descrivere: una porta che attira e respinge. Nel dubbio ho passato diversi minuti sul pianerottolo, poi ho suonato il campanello.

Era l’aprile del 2023 e il nome sconosciuto di Toffaloni era da poco uscito sui giornali italiani, a distanza di anni, come uno degli imputati nel nuovo processo sulla strage di Piazza Della Loggia a Brescia. Giovedì è stato condannato - in primo grado, dettaglio affatto irrilevante - in Italia a 30 anni di carcere. Il processo al Tribunale dei minori (allora aveva 16 anni, era il 1974) ha avuto il merito di fare giustizia storica e morale su un capitolo controverso degli Anni di piombo. Ma il condannato non verrà estradato, causa prescrizione, e anche se il dibattito è aperto - un’interpellanza al Consiglio federale del socialista Carlo Sommaruga invoca la revoca della cittadinanza - quella porta è ormai il simbolo di un limite invalicabile. 

Due anni fa era una porta qualsiasi e Toffaloni un cittadino (svizzero) al di sopra di ogni sospetto e processo. Lo cercavano in pochi, La Domenica lo ha trovato dopo lunghe ricerche. Aveva cambiato nome, si era naturalizzato e a Igis nessuno immaginava che dietro a quell’anziano un po’ strano si nascondesse un ex militante neofascista accusato di strage. Riconoscevano la foto con facce sbigottite. Ma se trovare Marco Toffaloni non è stato facile nemmeno per la giustizia italiana - quella svizzera si spera che, in qualche modo, lo abbia sempre monitorato - farlo parlare è un altro paio di maniche: non ha mai voluto. Non si è presentato alle udienze in Italia, non parlava con i compaesani a Igis, che infatti lo descrivono come lunatico e ostile, mentre con i vicini il rapporto si limitava a litigi di pianerottolo.

L’unica persona con cui ha parlato è stata la ex moglie, una cittadina svizzera - di qui la naturalizzazione - che per assurdo fa la giornalista nell'hinterland zurighese: ma anche a lei non ha mai fatto parola del passato. Tanti segreti, forse qualche menzogna, come in molte coppie. È una delle poche persone probabilmente a crederlo ancora innocente (lo credeva anche due anni fa) e forse è anche l’unica giornalista che potrebbe intervistarlo un giorno. Dopo quel viaggio a Igis ci hanno provato altri - i colleghi di «Falò» della RSI, che alla storia dedicheranno un servizio martedì su LA1 - ma nessuno ci è riuscito.

Il motivo è che Toffaloni, come dice la ex moglie, ha tagliato i ponti con il mondo tempo fa. Dopo una vita passata a nascondersi, la diffidenza del fuggiasco diventa un modo di essere. Quel giorno sul pianerottolo non ha risposto al citofono probabilmente non per timore di interviste, ma perché al citofono non risponde: a prescindere. Il paradosso è che la porta non era chiusa a chiave, come tante porte svizzere specie nei piccoli paesi. Entrare comunque? No, è stato meglio così. Ci sono limiti da non valicare, anche se incomprensibili e difficili da accettare. Il reato per il diritto svizzero è prescritto e la porta di Toffaloni, per quanto il dolore dei familiari delle vittime chieda giustizia, resta chiusa definitivamente. Almeno finché lui non deciderà di aprirla.

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