Il caso

Tra Lugano e Dubai gli affari del 65.enne che ha trafugato un tesoro in lingotti d'oro

È da un ufficio in piazza Cioccaro che il contrabbandiere avrebbe lavorato per anni per trafugare lingotti «sporchi» e ripulirli: oltre sette tonnellate dal 2016 al 2021
Una delle auto utilizzata dagli spalloni a Chiasso (foto UDSC)
Davide Illarietti
16.02.2025 09:00

Il fiume d’oro arrivava da tutta Italia, raccoglieva decine di affluenti (illeciti, secondo gli inquirenti) ed entrava in Svizzera da una società di Lugano. È qui, da un ufficio in piazza Cioccaro, che il contrabbandiere avrebbe lavorato per anni per trafugare lingotti «sporchi» e ripulirli: oltre sette tonnellate dal 2016 al 2021. Un vero e proprio tesoro nascosto nei doppifondi e sedili di auto truccate, che attraversavano il confine grazie a una squadra di spalloni.

A smantellare l’organizzazione sono stati i funzionari dell’Amministrazione federale delle dogane (UDSC) su segnalazione dei colleghi tedeschi: una volta «ripulito» infatti l’oro italiano, travestito da svizzero, veniva esportato per lo più in Germania. Ed è proprio qui che il presunto capo dell’organizzazione, un 65.enne della Valle d’Intelvi residente da tempo sul Ceresio, è stato arrestato nel 2021 (scontando una prima pena a tre anni di reclusione). Settimana scorsa l’ufficio giuridico dell’UDSC ha spiccato un atto d’accusa in Ticino, presso il Tribunale penale, chiedendo una condanna a tre anni di carcere e il divieto d’ingresso in Svizzera per dieci anni.

La fedina sporca

Non è la prima volta in realtà, e neanche la seconda, che l’«uomo d’oro» finisce nei guai con la giustizia. Già nel 2017 infatti l’allora 58.enne era stato denunciato dalla Procura di Como per avere fatto uscire illegalmente dalla vicina Penisola oro e preziosi (8 milioni di euro) e banconote non dichiarate (2,6 milioni di euro e 500mila franchi) con la complicità di un’autofficina di Lurate Caccivio, nel Comasco, che si occupava di manomettere le auto per il viaggio attraverso il confine. Prima i lingotti passavano da un appartamento di Milano, affittato dal contrabbandiere, dove venivano consegnati ogni settimana da un corriere espresso nascosti in dei pacchi di bigiotteria.

Insomma l’astuzia non mancava, all’organizzazione. La maxi-inchiesta (29 persone a processo) ha accertato che oro e denaro, entrambi frutto di evasione, transitavano da una banca di Lugano e finivano in parte - con l’intermediazione di società finanziarie ticinesi - di nuovo all’estero, principalmente a Dubai. Il 65.enne ha patteggiato una pena ridotta nel processo tenutosi a dicembre presso il Tribunale di Como.

Nel frattempo, però, il fiume d’oro sporco continuava a scorrere - a quanto risulta dalla nuova inchiesta - e in quantità decisamente più grandi. Oltre duecento volte tanto. La società a Registro di commercio non nascondeva il suo scopo: si occupava di «commercio di banconote» ma anche di prestiti su pegno, acquisto di oro e vendita di «oggetti nel settore dell’arte di metalli». Oggi non esiste più: è stata cancellata a dicembre a seguito di una lunga procedura di fallimento, iniziata nel 2021. Quando l’«uomo d’oro» in attesa di processo in Italia finì per l’appunto in prigione in Germania.

Un buco nella filiera

In attesa del processo ticinese, ora, resta un mistero da chiarire: come ha potuto - se ha potuto - un uomo accusato di riciclaggio in Italia continuare a importare e «ripulire» oro in Ticino, senza che nella filiera del prezioso metallo nessuno s’insospettisse? L’UDSC, contattato, conferma che l’accusato si sarebbe avvalso anche questa volta di «intermediari» e prestanome, riuscendo a trasformare l’oro presso fonderie svizzere grazie a della documentazione falsa. Nell’inchiesta comunque non ci sono altri indagati. Simone Knobloch, direttore della Valcambi di Balerna, definisce «grave» il fatto che si sia fatto breccia nella rigorosa due diligence della filiera. «Nel compimento di questo atto delinquenziale - assicura - non si può tuttavia accostare alcuna impresa industriale svizzera dei metalli preziosi». Il caso dimostra semmai sarebbe ascrivibile a un sottobosco di «attività artigianali meno tracciate ed esposte» già emerso in passato anche in Ticino. Un sottobosco in cui i «furbetti» dell’oro girano ancora inosservati, o almeno così credono.

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