A Biasca ci si prepara per l'ultima vendemmia del Lele
Capisco di essere al posto giusto non appena arrivo davanti al garage. Le saracinesche sono alzate, due palette di bottiglie avvolte nel cellophane attendono nel box di destra. Un cartellino nero è stato incollato sul pilastrino del cancello e indica che “Ra Canva” (“la cantina”, nel dialetto di Biasca) ha sede proprio qui. Il fatto è che questo posto non ha l’aria della cantina; è una casa a due piani di inizio Novecento, un’abitazione bifamiliare costruita per i figli, i nipoti e i nipoti dei nipoti, da vivere due generazioni per volta – una per piano. Supero il cancello aperto, seguo il selciato e aggiro la casa. Gli indizi aumentano: la vigna nel giardino, uno scolabottiglie di plastica, due botti che attendono a qualche passo dalla porta sul retro. Elma Mossi, la padrona di casa, mi saluta. «La Nina è di sotto», e mi invita a scendere.
Accanto alla soglia è stato sistemato un mobiletto con tutti i premi vinti all’ultimo Mondial du Merlot: sei parallelepipedi di legno con il logo del concorso, la categoria e il vino premiato incisi su una lamella di plastica. I diplomi invece sono stati appesi alla parete, ogni tre gradini ce n’è uno. La cantina “Ra Canva” di Biasca è tutta qui, in un sotterraneo di quattro locali di 12 metri quadri l’uno.
Oggi è giorno di imbottigliamento, sono in quattro a muoversi in maniera coordinata in spazi già zeppi di botti e scatole. Nello stanzino sulla destra trovo Andrea alla spillatrice; cede una bottiglia a Lauro, che la passa alla tappatrice manuale e la consegna a Romina (detta “Nina”), nella stanzetta centrale. Lei sdraia la bottiglia di lato su un’etichettatrice: è l’Alice 2021, un Merlot in purezza che ha vinto la Medaglia d’oro con l’annata 2020. Il testimone viene poi consegnato a Giada, nella terza stanza, che controlla il risultato finale.
Il filo che ha condotto queste quattro persone nei sotterranei di una casa biaschese non è solo l’amore per il vino. Sono tutte qui per Gabriele Mossi, morto nel marzo 2022 all’età di 49 anni, e per ognuno di loro questa cantina rappresenta qualcosa di diverso, qualcosa che li ricongiunge a lui. E anche io, non avendolo mai conosciuto, sono venuto fino a qui per scoprire chi era.
«Cinqcent!» dice Romina in dialetto. Lo schermo digitale dell’etichettatrice riporta il numero “500” e gli altri accolgono quel traguardo con un piccolo sorriso, ma nessuno osa proporre una pausa. All’inizio interpreto questa reazione come il desiderio di non rompere il ritmo; poi, però, mi rendo conto che c’è anche un altro motivo. In questa cantina rimane poco altro vino da imbottigliare: qualche barrique da 225 litri, un’anfora in terracotta che ne può stipare 300. Contengono le uve raccolte da Gabriele nell’autunno 2021, la sua ultima vendemmia. C’è quindi ancora spazio per la nuova annata dell’Icaro e due vini inediti, ma una volta etichettati questi le botti verranno trasportate al piano di sopra e vendute, mentre la vigna è già stata promessa a un altro produttore di Biasca.
Una bottiglia dopo l’altra, un passaggio di mano dopo l’altro, la cantina “Ra Canva” si avvicina alla fine. Ed Elma, Lauro, Andrea, Giada e Romina sono sempre più prossimi a dire addio alla grande avventura di Gabriele nel mondo del vino. Un congedo al quale sono tutti preparati, ma che non per questo fa meno male.
“Lele, dove sei?”
Torno qui un paio di settimane dopo per parlare con Lauro Carobbio ed Elma, lo zio e la mamma di Gabriele. È di nuovo lei ad accogliermi, ma stavolta mi invita a salire al piano di sopra. Mi soffermo davanti alle foto di una casa di montagna e mi siedo al tavolo della sala da pranzo, mentre Taki (il setter inglese di casa) ha lasciato la cuccia per sentire che odore ha il nuovo arrivato. Elma porta il caffè e lo zucchero, Lauro una bottiglia di grappa con all’interno una scaletta di legno. C’è la scritta “Biasca 1987”, sul piolo più alto.
«Il Lele aveva la passione del volo sin da quando era piccolo» mi racconta Elma. «Già a tre anni aveva la camera piena di giocattoli a forma di aeroplano. Poi, a 14 o 15 anni, qua vicino qualcuno dava la possibilità di fare un giro di ricognizione in elicottero. Ho pensato: “Glielo faccio provare, così gli passa la voglia”.» Elma si copre il volto con le mani e scuote la testa, poi sgrana gli occhi. «È tornato a casa con due occhi grandi così! E da quel momento, è stato chiaro quale strada avrebbe seguito. Ha seguito tutti i corsi e nel 2001 si è diplomato alla scuola piloti della Swissair a Kloten, poco prima del fallimento. Pensavo che avrebbe desistito e invece... Invece ha proseguito a volare.»
Il 2001 rappresenta comunque un momento di svolta nella vita della famiglia Mossi. A due anni dalla morte di nonno Elmo e con l’aiuto di papà Gianfranco, Gabriele decide infatti di prendere in mano la vigna e rendere più professionale la produzione del vino. «Il vino di Elmo, mio suocero, era un po’ così» dice Lauro aggrappandosi al bordo del tavolo. Un vin da tacass al tavul, insomma, uno di quei vini fatti in casa che sono così grezzi e astringenti da rischiare di cadere dalla sedia. «Ma era un uomo buono e mi piaceva dargli una mano. Quando il Lele ha deciso di rilevare la cantina, ho trovato naturale continuare a dare il mio contributo. Era un autodidatta.»
Laureatosi in ingegneria rurale al Politecnico di Zurigo, Gabriele è poi stato assunto alla Sezione dell’agricoltura e negli anni ha compensato ciò che non sapeva con la voglia di sperimentare e approfondire. «Intanto, però, continuava a volare» riprende Elma. «È diventato pilota di elicottero e io, ogni volta che sapevo che passava da qui, alzavo la radio a tutto volume e accendevo l’aspirapolvere. Non volevo sentirlo! Però un giorno mi ha detto: “Sai, mamma, io in cielo sono proprio felice”. E così un giorno ho deciso di salire a bordo con lui, nonostante abbia il terrore del volo. Volevo vederla, quella felicità. E lui era così contento di mostrare alla sua mamma che cosa si vedeva da lassù, in alto! Poi però succedevano anche gli incidenti e non appena usciva la notizia, lui mi scriveva un messaggio per tranquillizzarmi. Il 16 marzo 2022, un mercoledì, ho sentito che un elicottero era caduto vicino a Gordola. Non mi sono preoccupata perché sapevo che di mercoledì lui lavorava al Cantone e così gli ho scritto: “Lele, dove sei”? Ma non mi ha risposto. Gliel’ho scritto un’altra volta, poi la Nina mi ha chiamato e me l’ha detto.» Elma si ferma, deglutisce. «Ed è brutto non averlo più; era uno che riempiva la casa.»
Ora, invece, a riempire le pareti ci sono le tante foto di Gabriele e Alice, la sua unica figlia, che oggi ha 13 anni. In alcune lui suona la tromba e lei il clarinetto, entrambi per la Filarmonica di Biasca. La musica è una delle tante passioni che è riuscito a trasmetterle, ma colmare quel silenzio che aleggia per la casa, quando nelle orecchie hai ancora il suo saluto o il suono della sua risata, è ovviamente qualcosa di impossibile.
Elma mi mostra l’album di fotografie che Romina le ha regalato pochi mesi fa per ricordare Gabriele. Lo sfoglio, e tra le tante foto insieme ad Alice mi soffermo su una in cui lei avrà sì e no un anno, l’età di mio figlio. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, anche quelli di Elma sono lucidi. Ci scambiamo uno sguardo, lei annuisce. Sa che ho capito. Perché case grandi come quelle sono costruite per seguire l’ordine naturale delle cose, in cui i genitori lasciano qualcosa ai figli e non viceversa. Tra me e lei, ora, non c’è solo un album ma una doppia ingiustizia: il dolore di una madre che ha perso il figlio e quello di una figlia che ha perso il padre troppo presto.
«Ti voglio dare una cosa» mi dice Elma prima che me ne vada. «Il vino di mio figlio» e mi consegna una bottiglia di Icaro 2020.
Esserci, quasi ogni giorno
Per Andrea Villani, 30 anni, Gabriele era un amico di famiglia. Ne parliamo in un caffè di Giubiasco, un sabato mattina. «Io sono nato e cresciuto a Biasca, per me era naturale vederlo sempre in giro – per strada o in cielo. Abbiamo volato molte volte assieme ed era la persona con cui preferivo andare in elicottero: sempre solare, sempre divertente. E sempre in ritardo.»
Questa è una cosa che mi diranno tutti: «Il Lele non era mai in orario». Io però mi concentro anche sugli altri aggettivi: solare, divertente. Gabriele era una persona che valeva la pena aspettare, come quelle band che sai già non saranno mai puntuali, eppure le applaudi comunque.
Ma il coinvolgimento di Andrea non è legato solo ai momenti trascorsi con Gabriele. «Dieci anni fa ho perso un’altra persona importante in un incidente di montagna: era il mio migliore amico e aveva solo 19 anni. Mi sono ricordato di come mi ero sentito, del fatto che tutti mi dicevano “Per qualunque cosa, io ci sono”. Ma una cosa è dirlo, un’altra è farlo. Poco tempo dopo l’incidente capitato al Lele, sentivo che era giusto dare una mano. La cantina ha rappresentato il modo con cui stare vicino a lui e ai suoi cari; durante le prime settimane ero là quasi ogni giorno e oggi, quando Giada ha bisogno, mi scrive e io vado.»
Andrea aveva già un po’ di esperienza in cantina, dato che aveva aiutato amici e parenti a fare il vino. In quei casi, però, l’atmosfera era quella divertente di chi sta rappresentando una parte di una catena. Alla cantina Ra Canva, invece, si tratta di compensare un’assenza dove ognuno si sente l’anello debole. «Per Elma è stato difficile, soprattutto durante i primi tempi» ammette. «Quando c’è un lavoro da fare in cantina lei si incupisce. E nelle giornate in cui imbottigliamo il vino del Lele, per lei è particolarmente dura.»
I trofei nelle borse della spesa
Lo Stallino è il luogo in cui Gabriele ha vissuto i suoi ultimi anni, così sono venuto a vederlo in via P. Marconi 7, sempre a Biasca. Come dice il nome, è un’ex piccola stalla. Le mura sono composte di pietre squadrate, le piode coprono il tetto e due filari di vigna invitano a proseguire fino alla porta. Sulla sinistra, all’interno di un’area contrassegnata da pali di legno e cosparsa di corteccia, Gabriele ha installato un parco giochi per bambini con uno scivolo blu. Sul retro ci sono il tavolo e le panche in pietra all’ombra di una pergola di legno, un’altra coppia di filari e il grill – anche questo di sasso. È come se Gabriele avesse agganciato all’elicottero una casetta di montagna e l’avesse trasportata a fondovalle.
Avrei dovuto incontrare qui Giada Ghidossi, la compagna di Gabriele, ma alcune consegne dell’ultima ora l’hanno costretta in cantina. Così torno in via Lucerna 17 e mi siedo con lei. Ha 37 anni, i capelli sciolti e mossi, gli occhiali scuri. «Io e il Lele ci siamo conosciuti alla fine del 2020 e mi ha colpito la sua intraprendenza, i mille progetti che stava seguendo. Faceva le cose per bene: era attento, meticoloso, preciso.»
Il vino, d’altra parte, non ammette ritardi o errori. Un trattamento in meno e rischi di compromettere l’uva, una dose troppo abbondante di solfiti e la barrique è da buttare. Giada ha imparato tutto questo da Gabriele. «Mio padre produce il vino, ma io non sono mai stata una grande amante del Merlot. Stare al fianco del Lele mi ha fatto cambiare idea. Il tempo che trascorrevamo in cantina era nostro, era un modo per ritagliarci lo spazio e il tempo. A me piaceva soprattutto lavorare in vigna, cimare le piante o sfalciare il prato, e lui mi mostrava come fare. Nel 2021 ho partecipato alla vendemmia e a mezzanotte io e lui stavamo ancora pulendo le vasche di acciaio inox. È stato faticoso, ma bello. Quando poi sua sorella si è proposta per aiutarlo a progettare il sito internet della cantina, lui continuava a rimandare il momento in cui si sarebbe messo a scrivere i testi. Così, il giorno in cui siamo partiti per la Sicilia, ci abbiamo lavorato durante le due ore di volo. Abbiamo passato le vacanze a visitare cantine, a chiederci come sarebbe stato adattare quel tipo di produzione biodinamica dalle nostre parti. Ricordo la visita a una cantina sistemata in una vecchia abbazia. Stupendo.»
Nel dicembre 2021 Gabriele ha chiesto a Giada di accompagnarlo a Zurigo per la premiazione del Mondial du Merlot. A ormai un anno dall’inizio della loro storia, la cantina Ra Canva viveva in simbiosi con entrambi. «In quel contesto, ho visto il Lele felice come quando volava. Era beato. L’Icaro 2019 aveva vinto una medaglia d’argento ma lui era dispiaciuto del fatto che mancasse ancora qualcosina per arrivare all’oro. È questo che mi è ha fatto più male, alla premiazione di quest’anno: non ha potuto vedere quanto in alto sono arrivati i suoi vini. Io e Romina siamo andate a Zurigo in treno, sapevamo che le nostre etichette avevano vinto tre medaglie ma poi sono arrivati i premi speciali: Miglior vino del concorso, Premio per il miglior Merlot in purezza svizzero, Premio Vinofed per il miglior rosso. Avevamo le braccia cariche di trofei e un signore molto gentile si è fatto avanti per andare in un supermercato e acquistare due borse della spesa, dove abbiamo sistemato i riconoscimenti e i diplomi.»
Mese dopo mese, i mille progetti di Gabriele hanno iniziato a contemplare un futuro insieme a Giada. «Grazie ai tanti voli in elicottero e al suo ruolo di presidente della Fondazione Paesaggio Valle Santa Petronilla e Valle Pontirone, il Lele conosceva molto bene i monti di Biasca e i suoi dintorni. Capitava spesso che si assentasse per riattare una cascina, ritirare un asse di legno o qualche altro oggetto individuato in montagna. Amava le cose antiche, che portavano i segni del tempo; prelevava tutto e metteva da parte. C’era il progetto di costruire una nuova casa e nella sua testa era già partito il cantiere, la stava assemblando pezzo per pezzo. Doveva essere uno spazio abbastanza grande per sua figlia Alice perché lo Stallino è bello, ma iniziava a farsi stretto.»
Giada non me lo dice, ma quella casa doveva accogliere anche lei perché quella storia fatta di lavoro, di impegno e di progetti in comune stava fiorendo, proprio come è fiorita la cantina Ra Canva. La saluto e la lascio alle consegne: i tanti premi hanno portato maggiore interesse, e gli ordini attraverso il sito internet della cantina arrivano quasi ogni giorno.
I cornetti consegnati in elicottero
Salgo gli ultimi scalini di roccia ed entro nel bosco. Prendo il cellulare dalla tasca, una goccia di sudore cade sullo schermo; lo asciugo sulla manica (uno dei pochi pezzi di maglietta rimasti asciutti) e verifico che il sentiero sia quello giusto.
Sono passate da poco le otto. Romina, la sorella di Gabriele, mi ha dato appuntamento nella loro casa di montagna sopra Biasca, quella di cui ho visto le foto a casa di Elma. Per arrivarci bisogna puntare la località del Fración e poi seguire le indicazioni verso l’Alpe di Compiett per circa tre chilometri, 665 metri di dislivello. Qui, Romina e suo fratello hanno trascorso tutte le estati della loro giovinezza.
La casa è divisa su due livelli. Al piano terra, dietro a un muro di ceppi di legno, c’è la cantina. Salgo la scala esterna ed eccomi in casa – salotto, cucina e due camere da letto; in una c’è il letto a castello dove dormivano Gabriele e Romina da bambini, e poi Alice negli ultimi anni.
Torniamo all’aria aperta, il tavolo di pietra è freddo e il sole non spunterà prima delle 9.35. «Tieni questo» mi dice Romina, allungandomi un giacchetto di pile. Lo indosso. «Era del Lele.»
Come prima cosa le chiedo conferma di tutto quello che mi è stato detto, partendo dal principale difetto di Gabriele. Del suo essere sempre in ritardo, nonostante l’apparente precisione con cui definiva gli orari di arrivo (era uno che diceva: «Sarò lì alle 14.37.» Non le 14 e 30, non le tre meno un quarto – alle 14 e 37). Romina annuisce. «Era sempre di corsa, una meteora che orbitava intorno alla casa di famiglia. Per un’idea che realizzava, altre duecento gli venivano in mente.»
Le domando se era veramente così attento, quando si trattava di raccogliere l’uva durante la vendemmia. Annuisce di nuovo. «Nessun acino verde, nessun acino rotto, nessun acino imperfetto» ripete come un mantra. «Un anno ha piovuto e lui ci ha costretti a lavorare con due cassette sovrapposte: una per sistemarci l’uva, l’altra per ripararla dalla pioggia. E mentre noi la raccoglievamo, lui ci puntava addosso il soffiatore e l’asciugava. Poi si sistemava alla pigiatrice; l’uva non entrava nella macchina, se la qualità non era perfetta.»
Le chiedo infine se Gabriele, nonostante avesse due anni meno di lei, era premuroso nei suoi confronti. Gli occhi di Romina si fanno lucidi. «Sì, molto. Quando ero in montagna con il mio compagno e il Lele doveva passare da queste parti con l’elicottero, mi portava la colazione: metteva i cornetti in un sacchetto, scendeva di quota e ce li buttava giù» dice indicando il prato alle mie spalle. «Era lui che apriva la casa di montagna in primavera ed era lui che chiudeva il rubinetto prima che arrivasse il gelo. Ma da quando non c’è più...»
Anche Romina indossa un giacchetto di pile, ma sulle sue spalle c’è qualcosa di ben più pesante. «Dopo la sua morte mi è caduto tutto addosso e oltre a sostenere mia madre, ho dovuto fare i conti con quello che il Lele ha lasciato dietro di sé. Non era uno che pensava alla morte e a come sistemare le cose nel caso gli fosse successo qualcosa; era fatto così, lo sapevo, ma per un po’ ho provato anche rabbia. Ho dovuto ricomporre ogni suo progetto e risolvere ogni pendenza. Pensa che qui, in montagna, mi sono trovata un enorme larice abbandonato davanti alla porta della cantina; Lele avrebbe dovuto tagliarlo e farne dei ceppi, ma io ovviamente non ero in grado di farlo. Per fortuna il marito di una vicina si è offerto per aiutarmi. In tutti gli ultimi mesi sono stati questi i momenti che più mi hanno confortata, quelli in cui gli altri mi hanno dato spontaneamente una mano per sistemare tutto. E in quei momenti, piangevo.»
Mi chiedo se è vero che Gabriele non pensava alla morte. Possibile che non si sia mai chiesto quale sarebbe stato il lascito della sua cantina o il gusto dei suoi vini da lì a 10, 20 o 50 anni?
Anche Romina si è dovuta porre domande del genere, ma con una responsabilità ben maggiore. Cosa fare della cantina Ra Canva? «Era un progetto al 100 % del Lele. Quel vino è il suo vino, è parte di ciò che è stato. A luglio, quando sei venuto a trovarci, abbiamo imbottigliato l’Alice 2021, a ottobre passeremo all’Icaro 2021 e ai due nuovi vini. Uno si chiamerà TTT, che sta per “Trentatré Terroir Ticinesi” ed è stato l’ultimo, grande progetto del Lele. Nel 2021 aveva infatti acquistato uve Merlot provenienti da decine di luoghi diversi, voleva racchiudere in un solo vino il potenziale del nostro territorio. E poi il Giara, col quale Lele ha voluto sperimentare la produzione in anfora. Ma sull’etichetta ci sarà qualcosa di speciale: la R si potrà leggere anche come D, riportando il nome di Giada.»
Saluto Romina e mi rimetto in cammino verso l’automobile. Pensavo che essere in ritardo fosse un difetto di Gabriele, ma forse è semplicemente il segno del modo diverso con cui interpretava il tempo. Noi ci attacchiamo ai minuti e alle ore, lui pensava a salvaguardare costruzioni di legno e roccia vecchie di decenni o addirittura secoli. E in tal senso, non c’è un prodotto migliore del vino per trasformare questa visione in qualcosa di concreto, a patto di lavorare bene e con attenzione.
La bottiglia di Icaro che Elma mi ha regalato non sarà mai in ritardo – verrà aperta al momento giusto. E quando ciò accadrà, riporterà alla mente non solo ciò che Gabriele ha fatto, ma soprattutto ciò che lui ha visto con anni di anticipo rispetto a tutti gli altri. Il vino come capsula del tempo. Il vino come contenitore di memorie.
Ripenso all’affetto con cui Romina, Giada, Lauro e tutti gli altri hanno preso in mano la sua passione per la cantina Ra Canva, il modo con cui si sono uniti per chiudere il cerchio. Grazie ai loro sforzi, ogni bottiglia è oggi una dichiarazione d’amore da parte del Lele: per la figlia, per la compagna, per il territorio ticinese e per il volo. Prendo l’autostrada all’altezza di Biasca e mi chiedo a quali persone – a quali passioni – dedicherei io quattro bottiglie, se ne avessi la possibilità. Quali nomi rappresenterebbero al meglio la mia esistenza? E sarebbero in grado di sfidare il tempo, anche quando io non ci sarò più?
Mentre il motore sale di giri, un elicottero mi affianca. Lo seguo con lo sguardo, mi supera e scompare dietro la montagna. Chissà chi lo ha chiamato, chissà dov’è diretto. E chissà che vista si gode da lassù.