COP29, lo scontro sui fondi può condurre al naufragio
Una conferenza segnata da divisioni e incomprensioni. Aperta a ridosso di elezioni - quelle americane - potenzialmente negative per le politiche verdi. E chiusa senza un reale accordo, nello scontento generalizzato e nella vera e propria indignazione di molti dei Paesi più poveri.
La 29.esima edizione della Conferenza delle Parti (COP) organizzata dalle Nazioni Unite a Baku, in Azerbaijan, sarà ricordata molto probabilmente come la meno risolutiva e la più interlocutoria tra quelle chiamate a disegnare gli scenari green del mondo del futuro. Undici giorni di discussione, oltre ai mesi di lavori preparatori, non sono bastati, infatti, a mettere nero su bianco un testo finale che mettesse d’accordo tutti.
La bozza presentata questa mattina dalla presidenza, con la proposta di un finanziamento annuo a sostegno delle nazioni in via di sviluppo di 250 miliardi di dollari, ha fatto letteralmente esplodere di rabbia decine di delegazioni presenti a Baku. E a poco è sembrato servire pure il rientro precipitoso in Azerbaijan del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, costretto a lasciare la riunione del G20 in Brasile giovedì per presenziare alla trattativa finale della COP e ribadire come il fallimento non fosse «un’opzione».
Una divisione profonda
Tutta la conferenza è stata segnata dalla divisione tra i governi dei Paesi ricchi e quelli delle nazioni in via di sviluppo. Con i primi molto recalcitranti a garantire ulteriori risorse, e i secondi a insistere su impegni finanziari in grado di mitigare gli effetti della transizione ecologica su economie e società deboli, tuttora totalmente dipendenti dalle fonti energetiche fossili.
«È ridicola. Semplicemente ridicola - ha detto a proposito della bozza di proposta Juan Carlos Monterrey Gomez, rappresentante speciale per il cambiamento climatico di Panama -Sembra che il mondo sviluppato voglia che il pianeta bruci».
Durissimo anche il giudizio di Amb Ali Mohamed, inviato speciale del Kenya per la presidenza del Gruppo africano dei negoziatori, il quale ha definito il testo «totalmente inaccettabile e inadeguato. L’obiettivo proposto di raccogliere 250 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 non può realizzare l’Accordo di Parigi. Il solo Adaptation Gap Report afferma che le esigenze di adattamento sono di 400 miliardi di dollari. Stanziare 250 miliardi di dollari significa mettere in conto una perdita inaccettabile di vite umane in Africa e in tutto il mondo, e mettere in pericolo il futuro del pianeta».
«Quando il mondo ignora la scienza e si ferma sui combustibili fossili, quello che sentiamo è che il nostro futuro viene gettato via. Non possiamo accettarlo - ha detto Tina Stege, inviata per il Clima delle Isole Marshall - ci viene offerta soltanto una frazione di ciò che il mondo ha speso per la guerra nell’ultimo anno, e perdiamo tutto ciò per cui abbiamo combattuto negli ultimi due anni per rendere quel denaro più accessibile alle nazioni più piccole. Nessun sotto-target o piano minimo. Nessuna definizione di finanza per il clima. Nessuna chiarezza o responsabilità sulla provenienza o la destinazione del denaro. È incomprensibile come, anno dopo anno, portiamo le nostre storie sugli impatti climatici a questi incontri e riceviamo solo simpatia e nessuna azione reale dalle nazioni ricche. Non siamo qui per raccontare storie. Siamo qui per salvare le nostre comunità», ha aggiunto Stege.
Distanze siderali
Alla radice delle critiche mosse dai Paesi più poveri c’è la constatazione del fatto che i 250 miliardi promessi, di per sé lontanissimi dalla cifra considerata necessaria (1,3 trilioni di dollari all’anno), sostituiscono a malapena il precedente impegno di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 definito nell’ormai lontano 2009, alla COP15 di Copenhagen, in Danimarca.
La definizione del New Collective Quantified Goal on Climate Finance (il “nuovo obiettivo collettivo quantificato sulla finanza per il clima”, NCQG) è stato il fulcro delle negoziazioni di Baku. Sulla carta, molti si sono detti d’accordo sull’entità delle risorse necessarie a proteggere i Paesi meno sviluppati dalle conseguenze del green deal. Ma sul piano della realtà, le cose sono andate molto diversamente.
Le parti hanno negoziato secondo schemi prestabiliti. Da una parte, gli Stati OCSE, dall’altra il cosiddetto G77 - ovvero il gruppo di principale rappresentanza dei Paesi in via di sviluppo - affiancato dalla Cina. Stati Uniti e Unione Europea, allo stato attuale i principali contributori, hanno messo sul piatto una cifra tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno. Il G77 ne ha chiesti 1.300. Una distanza siderale, rimasta tale soprattutto per il mancato coinvolgimento di Pechino e di alcuni Stati arabi all’interno della platea dei Paesi donatori.
Tra i pochissimi a tentare di leggere il documento finale come fosse un bicchiere mezzo pieno c’è stato il ministro australiano per il Cambiamento climatico Chris Bowen, il quale ha parlato di un «situazione davvero finemente bilanciata». Ma, in realtà, anche Bowen è stato critico, seppure su un altro punto: la mancanza iniziale di un riferimento esplicito all’accordo di Dubai dello scorso anno, accordo secondo cui il mondo ha bisogno di triplicare le energie rinnovabili entro il 2030 e di abbandonare i combustibili fossili. «La riaffermazione dei risultati del primo bilancio globale, ovvero ciò che è stato concordato l’anno scorso, è positiva - ha detto Bowen - è un bene che, in questo senso, non ci sia stato un esplicito arretramento da Dubai».
Si discute a oltranza
Come quasi sempre è accaduto nelle edizioni precedenti, anche la sessione finale della COP29 sarà in ogni caso molto più lunga di quanto inizialmente previsto. Un’assemblea plenaria è infatti stata fissata alle 22 di Baku (le 19 in Svizzera) con all’ordine del giorno la discussione a oltranza per tentare di raggiungere un accordo. Non è nemmeno da escludere che l’alba azera sia sorta con i delegati ancora alla ricerca di una possibile intesa. Parlando con i giornalisti, il capo negoziatore azero Yalchin Rafiyev ha detto che la bozza di accordo è soltanto una «prima riflessione» con ampi margini di miglioramento. «Non corrisponde al nostro obiettivo equo e ambizioso, ma continueremo a impegnarci con le parti», ha detto. Sull’esito, però, nessuno al momento scommette.