«Salvare le foreste significa salvare gli esseri umani»
Nella difficile battaglia contro la crisi climatica, anche il cinema del reale gioca un ruolo fondamentale. È quanto apprendiamo dalle parole di Francesca Frigo, regista di Il seme del futuro. Un documentario che attraverso un viaggio in Valle d'Aosta, guidato dallo scienziato Giorgio Vacchiano, ci mostra immagini concrete del lavoro che ogni giorno viene fatto per salvare boschi, foreste e ghiacciai. Questo sabato, la pellicola arriverà anche al cinema Lux di Massagno. Per l'occasione, ne abbiamo parlato proprio con la regista Francesca Frigo.
Il rapporto tra uomo e ambiente
«Salvare le foreste significa salvare gli esseri umani». Questa è la consapevolezza su cui si basa l'intero progetto della regista italiana. Partiamo, però, dalle origini. «L'idea di questo documentario è nata nel 2019, quando grazie al fotografo Renato Di Gaetano e al giornalista ambientale Davide Mazzocco io e il mio socio Andrea Parena abbiamo conosciuto lo scienziato Giorgio Vacchiano. A quei tempi, la rivista Nature aveva da poco inserito il suo nome nella lista degli undici scienziati più emergenti per il futuro, e lo stesso professore aveva pubblicato un libro molto interessante, intitolato La resilienza del bosco», ci spiega Francesca Frigo con entusiasmo. Da lì, infatti, la scintilla. «Partendo proprio dai suoi studi e dai suoi importanti riconoscimenti abbiamo pensato fosse interessante approfondire la sua conoscenza. Siamo entrati in contatto con lui e in poco tempo ci è sembrato chiaro che il suo punto di vista su cambiamento climatico, conservazione, rispetto e studio dell'ambiente, fosse un ottimo punto di partenza su cui costruire un progetto».
L'approccio di Giorgio Vacchiano, professore di Scienze ambientali all'Università Statale di Milano, è infatti quello di utilizzare la scienza sia per analizzare lo stato di salute delle foreste, sia – soprattutto – per trovare delle soluzioni, progetti, o pianificazioni che possano aiutare gli alberi a mitigare i devastanti effetti del cambiamento climatico. Ma non è tutto. «Salvando i boschi, si aiuta anche l'uomo a salvarsi dagli scenari drammatici che si prospettano nel suo futuro. L'approccio del professor Vacchiano ci ha colpito proprio per questo motivo: mette al centro l'uomo, raccontando il suo rapporto con l'ambiente e rendendolo consapevole di quanto gli esseri umani abbiano bisogno delle foreste, grazie ai fondamentali ecosistemi che ci offrono». Da questo concetto, quindi, è nato il documentario.
«Partendo da questo paradigma di base, abbiamo deciso di percorrere insieme al professor Vacchiano un viaggio nella scienza, ma anche nella sua memoria personale. Siamo partiti dall'Università Statale di Milano, per arrivare fino in Valle d'Aosta». Una regione scelta per due motivi ben precisi. «Per prima cosa, Giorgio Vacchiano è emotivamente molto legato a questa terra, perché ci trascorreva le estati, quando era bambino. È proprio tra quei boschi che è nato il suo amore per gli alberi. A dirla tutta, però, la scelta è ricaduta su questa regione anche perché qui, nella foresta alpina, gli effetti del cambiamento climatico si manifestano con un'evidenza maggiore rispetto ad altri ecosistemi. Per questo motivo, la Valle d'Aosta ci è sembrata un laboratorio a cielo aperto perfetto per poter raccontare questi temi e mostrarli in maniera concreta agli spettatori».
Dai ghiacciai agli incendi
Senza fare troppi spoiler, Il seme del futuro è un documentario che raccoglie le osservazioni e gli studi di tanti esperti del settore ambientale, applicati nel contesto della Valle d'Aosta. «La scienza è anche uno scambio di competenze e collaborazione. Per questo motivo, grazie a Giorgio Vacchiano siamo riusciti a includere nel progetto molti altri colleghi ed esperti, con cui abbiamo approfondito i diversi aspetti della crisi climatica e le strategie che si possono attuare». Il film di Francesca Frigo diventa quindi una sorta di percorso a tappe. «Il nostro viaggio inizia con un incontro sui ghiacciai con il nivologo Michele Freppaz, con cui abbiamo osservato come queste masse si stiano ritirando sempre di più, portando a una scarsità di acqua soprattutto nel periodo estivo. A seguire, con Marta Galvagno abbiamo analizzato l'assorbimento del carbonio, uno dei servizi fondamentali che la foresta e gli alberi compiono per noi». Ma la lista non finisce di certo qui. «Abbiamo incontrato anche Ivan Rollè, un fitopatologo che ci ha mostrato come le processionarie stiano attaccando in maniera sempre più aggressiva gli alberi, già indeboliti dalla crisi climatica. I due dottori forestali, Renzo Motta e Jean-Claude Haudemand, ci hanno invece raccontato le strategie legate alla pianificazione forestale, tra cui spicca un intervento per creare e modificare il bosco, affinché aiuti i villaggi adiacenti a essere più riparati dalle valanghe. Per finire, nel documentario è stata altrettanto importante la presenza della professoressa Raffaella Marzano, con cui siamo andati alla scoperta dei boschi devastati dagli incendi, dove in seguito sono state attuate diverse tecniche di selvicoltura».
Mestieri «da raccontare»
Come dicevamo, il cinema del reale diventa quindi il veicolo perfetto per raccontare una realtà che riguarda tutti, ma a cui spesso non si presta la giusta attenzione. «Questi sono temi che mi affascinano molto. Da cittadina, e dunque persona molto lontana dalle foreste e dagli ambienti che osserviamo nel documentario, questo progetto mi ha sensibilizzato molto sull'argomento, oltre ad avermi appassionato tantissimo», ci confessa Francesca Frigo. «Quelli degli esperti del viaggio de Il seme del futuro sono mestieri e competenze che se non vengono raccontati sono difficili da immaginare da soli». La regista ci svela infatti che, in 15 anni di attività, questa è la prima volta che affronta un tema legato all'ambiente. «Sicuramente sono temi che hanno toccato la mia sensibilità. Non a caso, quando io e il mio socio Andrea siamo entrati in contatti con la storia di Giorgio Vacchiano abbiamo subito capito di aver di fronte il progetto giusto. Tra l'altro, proprio mentre dirigevo Il seme del futuro ho avuto la fortuna di lavorare anche a un altro documentario dedicato ai temi ambientali, per la Regione Piemonte. Quest'altro progetto, intitolato Le vie del bosco, racconta invece l'antica alleanza tra uomo e natura, attraverso le figure di tecnici e dottori forestali che operano nella regione, ed è stato un tassello aggiuntivo molto importante per la mia sensibilità verso il tema».
Nella sua vita privata, ci confessa poi Francesca Frigo, il rispetto per l'ambiente è diventato presto altrettanto importante. «Una delle scelte di vita più importanti che ho fatto è stata quella di spostarmi da Roma a Torino. Quindici anni fa ho lasciato una città meravigliosa, ma poco vivibile. A Roma gli spostamenti in auto sono folli. Qui, invece, nello stesso quartiere, nel giro di 800 metri ho ufficio, casa, e scuola delle mie figlie. Non ho più la necessità di prendere l'auto, anche perché qui ci si muove molto in bicicletta. Potremmo dire che questa, essendo avvenuta quindici anni fa, è stata una scelta di vita sociale scaturita quando ancora non possedevo una spiccata sensibilità sull'ambiente. Col tempo, però, scopri che anche le scelte che hai preso per benessere personale possono andare di pari passo con la cura e il rispetto per il pianeta».
Quando il rispetto dell'ambiente vale anche sul set
Una domanda, però, sorge spontanea. Quando si registra un documentario di tipo ambientale si mettono in pratica anche diverse regole di etica dell'ambiente? Francesca Frigo ci risponde positivamente. «Tendenzialmente, uno degli aspetti più impattanti quando si gira un documentario è quello degli spostamenti. Per realizzare Il seme del futuro abbiamo quindi cercato di ottimizzare i viaggi in auto, facendo in modo che le vetture partissero sempre piene, così da coinvolgere meno mezzi di trasporto». Un'altra accortezza per l'ambiente, scaturita in maniera quasi naturale, è stata invece quella relativa ai pasti. «Abbiamo evitato di avere cestini di cibo sul set, prediligendo sempre i pranzi nelle strutture ricettive, nei bar e nei ristoranti che ci consentissero di non portare il cibo fuori, ma di consumarlo direttamente nella location». Un ultimo aspetto, ma non meno importante, è la questione delle luci. «Abbiamo girato quasi sempre con la luce naturale, utilizzando videocamere alimentate a batterie. Sicuramente, essendo noi una decina, non abbiamo avuto lo stesso impatto ambientale che può avere una troupe cinematografica di cinquanta persone. Però a livello di macchinari, assorbimento di energia ed emissioni siamo riusciti a mantenere comunque un impatto bassissimo. Anzi, abbiamo consumato molta più energia noi della troupe, essendoci dovuti spostare in location spesso irraggiungibili», ci dice ridendo la regista.
Conoscere le storie degli esperti
L'appuntamento, come dicevamo, è quindi fissato al Cinema Lux di Massagno per sabato 1. aprile alle 16.00. «Il messaggio che vogliamo promuovere con questo film è quello di aprire gli occhi e conoscere il mondo che ci circonda. Questo è solo il primo passo per riuscire a essere più sensibili rispetto a questi temi». Ma non è tutto: Il seme del futuro ha infatti ambizioni ancor più definite. «La speranza è che questo documentario invogli le persone ad andare nei boschi, per sentire e toccare con mano quello che è lo stato di salute delle nostre foreste. Sarebbe un primo passo per provare empatia e venire coinvolti. Quello che posso fare io, in qualità di documentarista, è permettere allo spettatore di entrare in relazione con le storie. E la storia di Il Seme del futuro è una storia di passione, di ricerca, di intervento positivo attraverso la scienza della pianificazione forestale. Spero quindi che uno spettatore, anche lontano da questi contesti e ambienti, riesca a farsi toccare emotivamente e a livello di consapevolezza da quello che raccontiamo in questo progetto, perché riguarda tutti noi. Sia chi vive a ridosso dei boschi e della montagna, ma anche chi vive in città». Ma attenzione: l'idea del progetto non è quella di insegnare ai cittadini quali siano i migliori comportamenti da adottare. «Quello che speriamo di ottenere con questo documentario è una maggiore sensibilità verso l'argomento, raccontando cosa si sta facendo e soprattutto conoscendo le storie di chi ogni giorno, con passione, cerca e studia le strategie che aiutino le foreste ad aiutare, di riflesso, noi esseri umani».