Tradizioni

I simboli del Natale

La ricorrenza più sentita dell’anno è legata principalmente a due elementi: il presepe e l’abete – Ma quale dei due gode della primogenitura?
Il maestoso abete e il sontuoso presepe che campeggiano nel luogo centrale della cristianità, piazza S. Pietro a Roma. © Shutterstock
Luca GuarnerieRed. AgendaSette
24.12.2020 06:00

Il Natale è una ricorrenza che stimola profondi pensieri e riempie l’aria di un’atmosfera leggera e festosa nonostante la stagione fredda e buia e le avversità che quest’anno la condizionano. Una festa ricca di simboli che aiutano a comprenderla meglio e a rendere il ricordo della mistica discesa del Salvatore sulla Terra più reale (dato che la nascita è già soprannaturale e d’ardua comprensione in casi ordinari, è infatti necessario che il prodigio si manifesti in particolari minuti e comprensibili quando è ricolmo di tanti altri significati). La ricca simbologia con cui il Cristianesimo ha avvolto il Natale non è tuttavia una novità: da sempre l’uomo dà vesti terrene e comprensibili alle ricorrenze prodigiose. Il problema è che all’origine, sui testi, del Natale come noi lo conosciamo c’è ben poco. I Vangeli di Luca e Matteo sull’argomento sono infatti molto più che sintetici, dedicandogli solo poche righe. Marco e Giovanni nemmeno quelle. Ma allora da dove vengono quegli elementi che da sempre ci affascinano della festa? La cometa, il bue e l’asino? I pastori? Si tratta di dettagli che la tradizione ha progressivamente aggiunto per rendere più memorabile l’evento, per renderlo sempre meno celeste e sempre più terreno. Sembra quasi una blasfemia ma non è così. Gli uomini hanno fame di metafore e simboli.

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Lo stesso giorno del Natale, la sua data, ha un collegamento simbolico. È un sistema come un altro per tenere a mente un significato. Leggendo alla lettera il Vangelo di Luca infatti sorgono dei dubbi, ci sono cose che non quadrano: stando al suo racconto, infatti sembra che Gesù sia nato in primavera! Il fedele cronista s’è sbagliato? Ha usato male il calendario o ha perso una pagina d’appunti? Tutt’altro, non ha sbagliato alcunché. È il Natale che si è spostato. La ragione? Il solstizio d’inverno che cade il 21 dicembre. Il giorno delle ombre più lunghe, perché il sole tocca, a mezzodì, il punto più basso dell’orizzonte. Da sempre questo fatto astronomico ha attirato l’attenzione dell’uomo. Tanto che i giorni seguenti il 21, quando si incomincia a notare che il periodo di luce aumenta, sono zeppi di festeggiamenti. La fantasia delle religioni arcaiche vedeva infatti in questo evento astronomico la morte e, immediatamente, la rinascita simbolica del Sole. I romani hanno celebrato in questo periodo Apollo, passando poi al culto di Helios, il sole dei misteri egizi e a una festa dedicata al Sole Invitto. Le cerimonie pagane e i connessi festeggiamenti erano tanto opulenti e sfarzosi che spesso qualche novello cristiano dell’epoca ne era affascinato, come oggi i cristiani moderni sono attratti dalle vetrine illuminate. I Padri della Chiesa non vedevano affatto di buon occhio questa commistione coi riti pagani ed ebbero una grande idea: al posto di proibire le feste pagane, spostarono la festa cristiana nello stesso periodo. D’altronde già i profeti dell’Antico Testamento parlando del Messia, lo raffiguravano con immagini legate alla Luce e al Sole. E così è accaduto. Già nel quarto secolo il Natale fu fissato l’ottavo giorno delle Calende di Gennaio, cioè il 25 Dicembre. I Padri della Chiesa erano grandi comunicatori e sapevano parlare al cuore del popolo cristiano. E il cuore è meglio colpito per il tramite della fantasia.

Un imponente presepe in stile napoletano. © Shutterstock
Un imponente presepe in stile napoletano. © Shutterstock

Ma anche in questioni meno incisive per il Calendario, la potenza dei simboli ha stregato il genere umano che, ignaro, li usa pure come addobbi e spesso, senza rendersene conto, tiene vive tradizioni millenarie. Alcuni poco informati pensano che una delle due principali decorazioni natalizie, l’albero, sia una truffa moderna a danno del più tradizionale presepe. Ma la verità è tutt’altra! Nel panorama nostrano il mito dell’albero legato alle celebrazioni solstiziali è ben radicato e vivo, inestirpabile fin dai tempi più antichi e remoti. La sua carica mistica precede di molto il Cristianesimo. L’abete del Natale odierno, addobbato, carico di luci, festoni, palle, stelline, dolcetti e quant’altro, issato nelle piazze e davanti ai centri commerciali è infatti l’erede del simbolo primitivo dell’Albero del mondo. Nell’antichissimo poema nordico dell’Edda, nelle religioni più antiche, nel mito della ninfa Kaineídes, fra gli Altaici e fra gli Ostíachi, tra i Celti e tra i Germani, l’abete è infatti legato al periodo del solstizio (per ironia della sorte già le popolazioni celtiche festeggiavano l’abete e il Fanciullo divino della loro religione pochi giorni dopo il solstizio...) come testimoniano certi scritti dei primi periodi del Cristianesimo in cui ci si scaglia con violenza contro la lussuria consumata in certe feste solstiziali in cui si danza tutta la notte attorno a un abete addobbato di dolci, ghirlande e uova dipinte!

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Ma non sono stati solo i popoli del Nord ad avere un albero sacro al centro del loro mondo. C’era il paradisiaco Haoma dei Persiani, quello degli Indiani o quello con le mele d’oro del giardino delle Esperidi, nel mito greco o ancora quello del Vello d’Oro di Giasone nel mito degli Argonauti. L’albero al centro del Paradiso terrestre, simbolo del patto fra uomo e Dio da cui proviene sapienza, abbondanza e ogni dolcezza. Con il sopraggiungere del Medioevo, tuttavia il povero abete si trovò insidiato – soprattutto nel Sud Europa – dal presepe, «inventato» da San Francesco prendendo spunto dalle «Sacre rappresentazioni» liturgiche in auge all’epoca. A risollevare il suo «prestigio» fu poi un pensatore cardine della religiosità moderna: Martin Lutero. Secondo una leggenda, aggirandosi in un bosco innevato durante una gelida sera invernale, per nulla turbato dalla temperatura polare, si soffermò a contemplare la quiete del luogo. Tornato a casa si scoprì così ispirato che volle replicare, in un luogo più comodo e caldo, l’esperienza vissuta. Quindi si procurò un alberello e lo decorò con lumini. Dall’esperienza mistica di Lutero in poi l’albero è pian piano tornato in voga anche da noi facendo prima un giro oltre Manica fino addirittura in America dove fu importato dai primi coloni e dove prosperò sempre più per poi ritornare in Europa, alla stregua di altre abitudini.

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I simboli insomma sopravvivono senza problemi alla storia del mondo soprattutto se hanno radici profonde come l’abete, il sempreverde che raffigura l’immortalità, le sue luminarie che simboleggiano la sapienza, gli addobbi la ricchezza e i dolciumi la dolcezza: una sorta di ricordo del Paradiso terrestre...