L'intervista

Media e società: «La pluralità delle opinioni necessaria per la democrazia»

Il politologo Nenad Stojanović analizza lo stato attuale della libertà di stampa e spiega i motivi per cui è giustificato immaginare il finanziamento pubblico di giornali, portali, radio e televisioni - L’ostacolo rappresentato dalla cultura svizzera contraria ai contributi statali ai privati
I finanziamenti pubblici alla stampa scritta svizzera sono al centro di una discussione politica ormai da molti anni, in parallelo con la crisi dei giornali. ©PETER KLAUNZER
Dario Campione
04.12.2024 06:00

La crisi dei media tradizionali mette a rischio la democrazia? La domanda ricorre sempre più spesso nei dibattiti e nelle discussioni in cui si affronta il rapporto tra il potere e l’informazione ai tempi del Web. Un giornalismo più debole e meno strutturato certamente penalizza in primo luogo i cittadini, limitandone il diritto a sapere e, quindi, a decidere consapevolmente. Anche per questo si ragiona, ormai da molto tempo, sulla necessità o meno di un intervento diretto dello Stato a sostegno soprattutto dei giornali di carta.

La questione è aperta. Quasi ovunque nei Paesi di democrazia liberale, Svizzera compresa. «Siamo di fronte a qualcosa di potenzialmente contraddittorio - dice al Corriere del Ticino Nenad Stojanović professore associato di Scienze politiche all’Università di Ginevra e studioso del sistema dell’informazione - da un lato c’è la libertà di stampa, dall’altro l’aiuto statale. Ci si chiede come i media possano restare liberi e indipendenti nel caso in cui ricevano soldi dallo Stato. La contraddizione si risolve se questo sostegno non condiziona in alcun modo la libertà degli stessi media, se cioè viene concesso a tutti in base a criteri oggettivi».

La tentazione di distribuire gli aiuti a seconda delle preferenze politiche sarebbe infatti molto «pericolosa - dice ancora Stojanović - il sostegno ai media ha un senso se contribuisce a rendere possibile e a rafforzare la pluralità delle opinioni, ingrediente indispensabile di una democrazia sana. Diversamente, potrebbero prevalere i grandi gruppi di interesse, pronti a influenzare l’opinione pubblica per salvaguardare o proteggere i propri obiettivi».

L’asticella, in tal senso, «è molto alta - spiega il politologo dell’Università di Ginevra - la libertà di azione di chi riceve i contributi può sembrare ovvia ma non lo è. Ricordo in passato quanto accaduto con la libertà artistica. L’episodio è noto e riguarda il taglio dei sussidi a Pro Helvetia deciso dal Parlamento in seguito al sostegno concesso dalla Fondazione a una mostra in cui si criticava il consigliere federale Christoph Blocher. Una vera e propria punizione».

Tra Stato e società

Un altro grande tema, molto sentito nel nostro Paese perché legato in modo profondo e strutturale a una certa cultura politica, è l’atteggiamento sulla distinzione tra Stato e società. «In Svizzera, lo Stato è molto più snello rispetto a tante altre nazioni, anche soltanto quelle a noi vicine. Ciò si deve al sistema federalista e alla democrazia diretta - spiega ancora Stojanović - L’idea che da noi lo Stato aiuti i settori privati è storicamente molto faticosa, o addirittura un tabù se pensiamo al finanziamento pubblico dei partiti, che in tante altre democrazie è invece uno standard. A questo si aggiunge il forte potere di veto popolare, che sul sostegno ai media si è già fatto sentire due anni fa».

In effetti, uno sguardo su quanto accade oltre i confini elvetici, presenta differenze evidenti. Il rapporto sul Finanziamento pubblico dei mezzi di informazione nell’Unione Europea, pubblicato la primavera scorsa, mostra come nel 2022 (ultimo anno con tutti i dati disponibili, ndr) i governi nazionali degli Stati membri abbiano stanziato 1,32 miliardi di euro di sostegno finanziario diretto e indiretto ai mezzi di informazione privati. Una cifra che non comprende il valore dell’IVA ridotta e della pubblicità statale, i contributi al funzionamento delle agenzie di stampa nazionali e il finanziamento dei documentari.

È lecito chiedersi se altrove vi sia maggiore consapevolezza sulla questione del rapporto tra media e potere, soprattutto nell’opinione pubblica. «Non sarei così categorico nel dire che in Svizzera vi sia minore coscienza dell’importanza della libertà di stampa - risponde Nenad Stojanović - Quando si è andati a votare sull’iniziativa No Billag che metteva sotto pressione la SSR, il rifiuto è stato netto: in quel frangente, ha prevalso la tesi della salvaguardia di media forti e di qualità. Anche il successo di Republik (portale zurighese il cui motto, tra l’altro, è Ohne Journalismus keine Demokratie, “Senza giornalismo nessuna democrazia”, ndr), capace di mettere in piedi un nuovo medium online di qualità finanziandosi con i soli abbonati, dimostra quanto i cittadini giudichino utile e necessario, in democrazia, avere media di qualità».

L’attacco alla Tv pubblica

Resta il fatto che la situazione appare difficilissima. Per la contrazione del numero di lettori e di telespettatori, per la riduzione delle entrate pubblicitarie, per una crescente disaffezione del pubblico giovanile verso i media tradizionali. «Sicuramente, c’è un’evoluzione preoccupante su più fronti - condivide Stojanović - in primo luogo, perché cresce la concentrazione dei media nelle mani di poche società editrici che dominano il mercato; in secondo luogo, per la scomparsa progressiva dei giornali regionali; ancora, per l’attacco continuo contro la radiotelevisione pubblica. In attesa di votare sulla richiesta di dimezzamento del canone, già adesso il Consiglio federale ha deciso tagli che costringono la SSR a ridurre il proprio organico di mille effettivi. Anche per questo, penso sia urgente continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia e sull’accrescimento della libertà d’informazione e della pluralità delle fonti, andando avanti con modifiche di legge che permettano ai media di qualità e di svolgere il proprio ruolo».