Calcio

Da Alli a Walker: quanti pazienti inglesi per la Serie A

Sabato la firma del centrocampista al Como, a ore il passaggio del difensore dal Manchester City al Milan: la colonia di giocatori britannici nel campionato italiano non è mai stata così nutrita - Dall’esclusività della Premier allo stile di gioco e di vita: le ragioni della nuova attrazione fatale
Gli scozzesi Scott McTominay (Napoli) e Ché Adams (Torino). ©AP/Fabio Ferrari
Massimo Solari
22.01.2025 06:00

«Allora Tammy, vuoi goderti un po’ di sole o preferisci restare sotto la pioggia?». José Mourinho, come prima cosa, fece leva sul fattore meteorologico al fine di convincere Abraham a lasciare Londra e il Chelsea per la Roma. Era l’agosto del 2021 e la Serie A si stava profilando quale meta di pellegrinaggio privilegiata dei calciatori britannici. E non solo per il clima. Sono trascorse altre tre stagioni e l’asse Italia-Regno Unito si è fatto ancor più rovente. Con la firma di Dele Alli al Como e l’accordo solo da formalizzare tra Kyle Walker e il Milan, il numero di giocatori provenienti dalla Gran Bretagna è salito a quota 15. Un record per il massimo campionato italiano. E un dato tutto fuorché irrilevante, considerato che lungo lo scorso torneo erano stati 10, mentre in occasione della stagione 2019-20 si erano fermati a 5.

Rinascite clamorose

Di sicuro è tramontata l’epoca dei miti e delle rare bandiere sparse qua e là sulla penisola: da Gerry Hitchens a Jimmy Greaves, passando per «Ray» Wilkins e Mark Hateley. Dopo i rientri in patria di David Platt e Paul Gascoigne - correva il 1995 - per 23 anni la Serie A non ha mai accolto più di due britannici. Per tacere del decennio segnato unicamente dalle parentesi in rossonero di David Beckham. Un prestito. Un’eccezione, appunto. A fronte della rosa attuale, composta da 9 giocatori inglesi e 5 scozzesi. Diversi dei quali, per altro, grandi protagonisti nei rispettivi club. Per dire: Scott McTominay (che allo United rimpiangono notte e giorno) e Billy Gilmour guardano tutti dall’alto con la maglia del Napoli. Altri - come Lewis Ferguson al Bologna - portano al braccio la fascia di capitano. Ecco perché oltremanica non si esita ad accostare i concetti di «via d’uscita» o «rinascita» ai trasferimenti in Italia. Già, ma per quale ragione?

Beh, innanzitutto alla luce di una serie di esempi positivi: su tutti Smalling (Roma), Young (Inter), Spence (Genoa) e Winks (Sampdoria). Poi, ed elemento veramente centrale, in considerazione della dimensione esagerata della Premier League. E cioè della lega che idealmente dovrebbe fungere da terreno fertile per buona parte dei talenti e campioni locali, ma che a causa della sua potenza economica e della sua attrazione fatale ha reso inevitabili parecchi esuberi. Tradotto banalmente: troppi giocatori e tante carriere alla ricerca della giusta miccia per esplodere o del contesto giusto per tramontare.

Il fattore Brexit

A lungo scelta quale soluzione di ripiego, perlomeno in via provvisoria, la Championship non sta riuscendo a tenere il passo della Serie A (e degli altri principali campionati europei). Logico, e però non scontato. Il «Decreto Crescita» italiano che garantiva notevoli agevolazioni fiscali ai neoacquisti stranieri, per esempio, è scaduto a fine 2023. Senza dimenticare i risvolti della Brexit, con i britannici che dalla stagione 2024-25 non possono più essere equiparati ai giocatori comunitari. Di qui i margini di manovra ristretti, dal momento che i club di Serie A sono autorizzati a ingaggiare al massimo due profili extracomunitari a stagione e hanno la possibilità di attivare un solo altro posto extra per un calciatore britannico (o albanese). Per questa ragione il Milan non avrebbe potuto ingaggiare sia Walker dal City, sia Marcus Rashford dal Manchester United. «Questa regola è una limitazione, ma al contempo sposta l’attenzione proprio sui giocatori britannici ed è vista come un’opportunità» ha però sottolineato al Times Leon Angel, responsabile dell’agenzia di calciatori CAA Base.

La fisicità per distinguersi

Se la minore visibilità in chiave «nazionale inglese» costituisce invece un rischio, vi sono almeno altre tre variabili favorevoli. In apertura dicevamo di Mourinho. E, in tal senso, è oggettivo che le esperienze sia in Premier, sia in Serie A di tecnici come il portoghese o Antonio Conte o Maurizio Sarri abbiano facilitato le opere di convincimento di uno o dell’altro giocatore britannico. Anche lo stile di vita e la bellezza del territorio ospitante non vanno sottovalutati. Dele Alli non ha scelto solo ilComo; il 28.enne - da molti ritenuto irrecuperabile sul piano sportivo dopo tanti problemi anche sul piano psicologico - ha ceduto volentieri a Como. Last but not least, le caratteristiche della Serie A sembrerebbero sposarsi al meglio con quelle dei calciatori formati nel Regno Unito e, in molti casi, già plasmati dalla Premier League. E qui veniamo a Kyle Walker, finito in disgrazia al City e, complici ripetuti cali di concentrazione, per molti emblema della stagione sofferta della squadra guidata da Pep Guardiola.

Il 34.enne di Sheffield, che in diversi blog viene ritenuto il terzino destro inglese più sopravvalutato della storia, si è costantemente distinto per la sue doti atletiche. Velocità in primis. E dal momento che il massimo campionato italiano spicca per i suoi contenuti tattici e tecnici, c’è la convinzione che giocatori fisici come Walker possano sfruttare meglio di altri il nuovo palcoscenico per lasciare il segno. È quanto spera Zlatan Ibrahimovic, primo sponsor dell’arcigno difensore inglese, lodato pure per la sua leadership. Ma la verità è che oltre a Manchester, Walker intende lasciarsi alle spalle quelle che non ha esitato a definire «scelte idiote». Parliamo di una vita privata turbolenta, presa ovviamente e volentieri di mira dai tabloid e scandita dalle relazioni coniugali e non con Annie Kilner (moglie e madre di quattro figli) e la influencer Lauryn Goodman (a sua volta madre di due figli). Oltre a un po’ più di sole, a Milano Kyle si augura di trovare un pizzico di serenità.

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