Calcio

La festa del Letzigrund esalta quasi solo il Kosovo

La storica amichevole di Zurigo finisce in parità, complice una Svizzera sotto tono - La selezione balcanica, trascinata dal pubblico, spaventa i rossocrociati e manda fuori giri Xhaka - Il ct Murat Yakin: «La rabbia di Granit dopo il cambio? Far parlare le emozioni non m’infastidisce»
© CdT / Gabriele Putzu
Massimo Solari
29.03.2022 22:39

Bello il pubblico festante, ci mancherebbe. E, di riflesso, l’entusiasmo multietnico che ha accompagnato l’amichevole storica del Letzigrund. Vada anche per i rapporti di forza invertiti sulle tribune, con i tifosi dardani a rubare la scena a quelli rossocrociati. In fondo, era preventivabile. Sul piano sportivo - ciò che conta veramente, alla fine - la partita di Zurigo non è invece stata un bello spettacolo. Non per la Svizzera, davvero bruttina. E, per lunghi tratti, quasi spaventata dal Kosovo. Già, la formazione di Alain Giresse è parsa decisamente più in palla, spensierata nei gesti. Più motivata, anche? Sì, no, forse. Sta di fatto che la personalità della selezione balcanica ha disorientato e non poco gli elvetici. Rinsaviti solo alla buon’ora - quando non a caso è caduto il pareggio di Lotomba - e dopo essere meritatamente passati in svantaggio. «Personalmente, però, non giudico negativamente la prova della mia squadra» ha replicato il ct Murat Yakin. Facendo della consueta calma un’alleata preziosa: «Dopo lo stage di Marbella, abbiamo avuto l’opportunità di svolgere due test. Di provare nuove cose. Elementi tattici che in diverse situazioni ho ritrovato con il Kosovo. In tal senso, credo che l’importanza del risultato vada relativizzata. Non era la nostra priorità».

Un passo indietro

Okay. Calma e sangue freddo. L’impressione, tuttavia, è che la Nazionale svizzera abbia fatto uno, finanche due passi indietro rispetto alla positiva prova di Wembley. Quando, al netto di un undici più attrezzato, si era fatta apprezzare per creatività, movimenti e convinzione. Oggi, tutto questo, si è visto molto di più sul fronte kosovaro. E non sorprende, dunque, che il ct Giresse si sia detto più che soddisfatto, parlando di «una partita costruttiva per il futuro della nazionale». Yakin, al proposito, ha invece tenuto a ricordare «i diversi cambiamenti» operati dopo la trasferta a Londra. «Tra i miei compiti c’è anche la gestione dei tempi di gioco dei giocatori. Per molti di loro, le prossime saranno delle settimane cruciali a livello di club. Perciò mi sono sentito in qualche modo in dovere di proteggerli». Una considerazione, questa, che ha inevitabilmente apparecchiato la domanda successiva. Riferita, va da sé, alla partitaccia di Granit Xhaka. La centesima con la maglia rossocrociata. «Con l’Inghilterra -  ha spiegato «Muri» - aveva giocato novanta minuti. Non era ragionevole concedergliene altrettanti». Peccato che il diretto interessato avrebbe disputato volentieri l’intero incontro. Per il suo enorme significato sul piano storico e identitario. «Sì, avrei preferito restare in mezzo al campo» ha ammesso il capitano della Svizzera, a dir poco contrariato al momento della sostituzione. «Ma la sua reazione non mi ha stupito» ha osservato sempre Yakin, maestro - di nuovo - di diplomazia. «Granit ha carattere. Fa parlare le emozioni. E ciò non mi dà assolutamente fastidio. Anzi».

Shaqiri, assoluto protagonista

Come Xherdan Shaqiri, il centrocampista dell’Arsenal è stato osannato prima e al termine del match. Mentre durante, i «buu» dei tifosi kosovari sono parsi più una carezza affettuosa a un fratello. Ben diverso, invece, il trattamento riservato a Andi Zeqiri, fischiato sonoramente e beccato pure da uno striscione avversario. No, l’ambiguo vacillamento di un anno e mezzo fa e la decisione di non abbracciare il Kosovo non sono stati perdonati all’attaccante. Per quella che, a conti fatti, ha rappresentato l’unica macchia extra-sportiva della serata di Zurigo. Una serata, dicevamo, ammantata da un incredibile velo d’euforia. Per dire: mai, nella sua giovane storia, il Kosovo aveva potuto giocare di fronte a un pubblico così importante schierato dalla sua parte. Sì, perché dei 20.800 che hanno preso d’assalto il Letzigrund, due terzi circa inneggiavano agli «ospiti». E la Svizzera, ha ammesso apertamente Yakin, ne ha pagato in parte le conseguenze. «Sicuramente il nostro avversario ha mostrato un grado di motivazione elevatissimo». Un grado di motivazione al quale solo pochi giocatori elvetici hanno saputo tenere testa. Fra loro figura senz’altro Xherdan Shaqiri, ispirato come a Wembley e - una volta di più - indispensabile per accendere l’attacco rossocrociato. Un po’ svizzero, un po’ kosovaro, se c’è una persona che ha vissuto una serata indimenticabile sia in campo sia nel cuore, quella è proprio lui.

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